Antonio Iorio, ཿIl Sole-24 Ore 6/7/2009;, 6 luglio 2009
CONTRABBANDO E CORRUZIONE, LO STATO VUOLE LA SUA PARTE
Si fa presto a dire "guadagno illecito". Se c’è un guadagno, ci sarà bene una tassa in agguato! E chi la paga? Certo, non è facile immaginare che il Fisco possa pretendere la sua parte anche sul bottino di una rapina o sugli introiti di un’attività assolutamente illegale, come lo spaccio di droga, il contrabbando oppure lo sfruttamento della prostituzione.
Eppure, sin dai tempi di Tangentopoli, ci si è posti il problema della tassazione dei proventi illeciti.
Prima del ’93, non c’era una norma che disciplinasse il trattamento fiscale del "frutto dei reati". Tuttavia, la scoperta di ingenti somme legate a corruzione, concussione, finanziamento illecito ai partiti, al di là degli aspetti penali, aveva indotto a riflettere anche sulla totale esenzione fiscale di questi importi.
In altri Paesi il problema era stato affrontato e risolto molti anni prima, come segnala la vicenda dell’incrimazione fiscale nei confronti del boss Al Capone: le autorità dell’epoca si interrogarono sull’eventualità di tassare i suoi redditi, in gran parte provenienti da attività illecite. E fu proprio grazie a questa legge che si arrivò alla sua incriminazione.
Ma torniamo all’Italia. stata la legge 537/1993 a prevedere la tassabilità dei redditi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo. La tassazione scatta a condizione che: a) il soggetto si sia arricchito patrimonialmente; b) l’arricchimento rientri in una delle categorie reddituali previste dal Tuir; c) i proventi non siano stati assoggettati a sequestro o confisca.
In concreto, nonostante la nuova norma, si sono verificate alcune difficoltà applicative che non hanno consentito un massiccio utilizzo della disposizione stessa.
Queste problematiche, in particolare, si riferiscono alla difficoltà di inquadrare in una delle categorie reddituali del Testo unico dele imposte sui redditi le attività illecite.
Qualche esempio? Sono ovviamente tassabili i redditi illeciti conseguiti nell’esercizio di un’attività lecita (arte, professione, impresa e così di seguito) anche se esercitata in assenza di un requisito previsto dalla legge extrafiscale. Vale a dire che il dentista abusivo oppure il "falso" avvocato devono pagare le imposte sui guadagni legati alle loro attività svolte abusivamente. Lo stesso vale per l’azienda che opera senza le necessarie licenze o autorizzazioni. In tutti i casi, gli "abusi" dovranno poi fare i conti con le norme amministrative e penali.
Restano però grandi problemi sulle attività oggettivamente illecite (e quindi non illecite per mancanza di autorizzazione o licenze).
Pensiamo al provento di un furto o di una tangente: a quale tipologia di reddito individuata dal Tuir sono assimilabili? Reddito da lavoro autonomo o prestazione occasionale?
Anche il Fisco si è reso conto di queste diffoltà e con una circolare del tempo (la n. 150/E del 1994) ha provato a fare un po’ di chiarezza. Il risultato è che per l’amministrazione finanziaria sono sicuramente tassabili: - i redditi da usura, come redditi di capitale; - i redditi di impresa derivanti da attività criminose (a esempio, il contrabbando di tabacchi esteri).
Proprio per superare queste problematiche con una norma in-terpretativa (il comma 34 bis dell’articolo 36 del decreto legge 223/06), è stato previsto che i proventi illeciti, qualora non classificabili nelle categorie di reddito del Tuir siano comunque considerati come redditi diversi. Si tratta di una norma che risponde anche a un principio di uguaglianza per il quale ogni attività illecita idonea a produrre ricchezza è suscettibile di costituire il presupposto di un obbligo tributario.
I malviventi sono avvisati. Chissà se hanno più paura dell’esito dei processi penali o della caccia del fisco ai loro guadagni.