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 2009  luglio 05 Domenica calendario

 STATO IL CARO PETROLIO LA MOLLA DELLA RECESSIONE - I

subprime, i derivati, la Bear Stearns, la Lehman Brothers. Quando si parla della crisi, si parla di finanza. Si dimentica qualcosa: che la recessione sarebbe arrivata comunque, anche senza le speculazioni sui credit default swaps o le truffe di Bernard Madoff.
Basta poco per capire il perché. sufficiente ricordarsi che a luglio 2008 il petrolio aveva superato i 145 dollari al barile, accompagnato dai record delle altre materie prime e dei prodotti agricoli. stato un aumento rapidissimo dei prezzi che è stato alimentato anche dalla finanza, dal riversarsi su quei mercati, molto sensibili alla quantità di denaro in circolazione, di ondate successive di liquidità; ma che è stato almeno innescato da un forte incremento della domanda da parte dei Paesi emergenti.
Ogni forte rialzo del prezzo del petrolio ha portato con sé, in maniera più o meno diretta, una recessione. «Il 2008- spiega Paul Ormerod, sostenitore dell’economia dei sistemi complessi- ha visto una recessione indotta dai prezzi delle materie prime simile in termini di produzione reale a quella del ’74-75. Prezzi più alti delle materie prime hanno trasferito reddito dall’occidente ai Paesi produttori. Così, la crescita reale annua del Pil del G-7 è stata del 2,2% nel primo trimestre del 2008, dell’1,5% nel secondo e dello 0,4% del terzo. La caduta della produzione c’era già», quando la crisi finanziaria è davvero esplosa: il fallimento della Lehman risale al settembre del 2008.
A qualcuno queste semplici associazioni non bastano, però. Chi ha compiuto il passo successivo, la verifica rigorosa, è stato James D. Hamilton della California University. Toccava a lui farlo: Hamiltonè stato il primo a stabilire un legame statistico, empirico, tra tutte le recessioni negli Usa e un precedente boom dei prezzi del petrolio. L’ultima crisi non poteva lasciarlo indifferente e, sia pure limitando il discorso ai soli Stati Uniti, ha tentato di dimostrare che l’attuale recessione non fa eccezione alla " sua" regola. Lo shock petrolifero ha innanzitutto ridotto gli acquisti di veicoli: il Pil Usa tra ottobre 2007 e settembre 2008 è così aumentato dello 0,75% ma sarebbe salito dell’1,25% - una crescita lenta, non una recessione - senza la crisi del settore auto, che ha perso 125mila lavoratori. Poi sono crollate la fiducia dei consumatori e le loro spese. Come è sempre avvenuto.
E il settore immobiliare, le sue difficoltà? Hamilton è scettico: «Gli investimenti residenziali hanno sottratto 0,94 punti dalla crescita annua del Pil reale tra ottobre 2006 e settembre 2007, quando l’economia non era ancora in recessione, e soli 0,89 punti nei dodici mesi successivi, quando la recessione ha avuto inizio. chiaro che qualcos’altro ha trasformato la lenta crescita in recessione». Senza contare che c’è sempre un’interazione tra lo shock petrolifero e il prezzo delle case.
Il discorso di Hamilton non si ferma qui. Ha conseguenze politiche importanti. A suo giudizio i rialzi del 2007-08 sono stati causati da un aumento della domanda e una stabilità dell’offerta.Ha anche una spiegazione "fuori dal coro" per il rapido crollo del greggio da 145 a 40 dollari. Consumatori e aziende avrebbero cambiato abitudini e diminuito in modo più incisivo l’uso di energia in risposta ai rialzi, mentre gli investitori si aspettavano la consueta, lenta riduzione, e hanno spinto i prezzi troppo in alto. Il ruolo del diluvio di liquidità non viene negato, ma diventa un’ipotesi superflua.
Se però la crisi è nata da una domanda di petrolio in esplosione e una produzione stagnante, la recessione è allora «una cura di breve periodo » a un problema che è invece di lungo periodo e che non potrà che ripresentarsi: «I policy- makers dovrebbero affrontare queste sfide - conclude allora Hamilton - e non dare tutta la colpa di quanto è avvenuto a un’aberrazione del mercato». Che c’è stata, ma che forse non spiega tutto.