Carlo Bastasin, ཿIl Sole-24 Ore 5/7/2009;, 5 luglio 2009
LE CREPE NASCOSTE DELLE BANCHE TEDESCHE
La superficie della Germania è priva di crepe. Mentre la cancelliera Angela Merkel sta concludendo il suo intervento in aula sul G-8 e la crisi mondiale, con il consueto tono pacato e inesorabile di chi sta dimostrando il teorema, sotto al Bundestag la polizia di Berlino ferma ogni singola bicicletta che percorre la Strae des 17 Juni. I ciclisti scendono di sella e dimostrano carte alla mano la proprietà del mezzo. Il mondo può crollare, ma le regole sembrano ancora salde sia nell’aula del parlamento sia sulle strade di Berlino. Sotto la superficie, un terremoto aspetta di scuotere prima il mondo finanziario e poi quello politico. Il parlamento e il mondo del credito stanno conducendo l’ultima decisiva battaglia per nascondere le perdite colossali che il sistema delle banche pubbliche, controllato dai politici dei länder, ha accumulato. Si tratta di un costo per il contribuente tedesco di centinaia di miliardi di euro che sembra scivolare, chissà se solo per ingenuità, sotto la consapevolezza dei media e quindi della pubblica opinione.
Incrocio la cancelliera nel suo tailleur chiaro, con il solito sguardo amichevole e concentrato che aveva quasi vent’anni fa, quando l’avevo conosciuta nell’ufficio di Lothar de Maizière. «Vogliamo riformare i mercati finanziari globali e portare l’economia sociale di mercato in tutto il mondo », ha appena annunciato. Ha fiducia e nonostante lo stile misurato lo fa capire, il paese è politicamente sotto controllo. Non solo i sondaggi per il voto federale di fine settembre sono favorevoli, ma lo speciale meccanismo elettorale degli berhangmandaten (premio di maggioranza regionale,
ndr) potrebbe dare al suo partito, la Cdu, un vantaggio sostanziale, tale da dettare i termini della prossima coalizione di governo con un’ipotesi di maggioranza Cdu-liberali che qualcuno stima avere tra il 70 e il 90% di probabilità.
Questa donna seria e intelligente raccoglie ancora un consenso altissimo, nonostante la crisi stia colpendo la Germania più degli altri paesi. Il collasso del commercio mondiale taglia i ricavi ai grandi esportatori abituati a fatturare volumi giganteschi, pari al 49% del Pil tedesco. Alcuni produttori di veicoli hanno perdite del fatturato del 40%, eppure la rinascita degli ultimi anni ha restituito fiducia al paese. Berlino è irriconoscibile e allegra. La fiera della moda s’incrocia con l’apertura dei teatri e di nuove gallerie d’arte.I sondaggi mostrano che i cittadini sono preoccupati per gli effetti generali della crisi, ma sono ottimisti per se stessi. Il 52% degli abitanti di Berlino d’altronde dipende da stipendi o sussidi pubblici e nel resto del paese la spina dorsale delle piccole-medie imprese è diventata così flessibile da non farsi spaventare dai vuoti d’aria.
Frau Merkel si difende dalle accuse di fare troppo poco per rilanciare l’economia. In Germania la sua cautela è apprezzata. Spiega un collaboratore della cancelliera che le accuse degli americani e dei britannici sono sbagliate: tenendo conto degli stabilizzatori automatici, la reazione fiscale tedesca alla crisi sarà pari al 10% del Pil nel biennio 2009-2010. Hans-Werner Sinn, un economista cui la cancelliera affida la parola nei tavoli di confronto con i vertici delle imprese e delle banche, calcola che attraverso il calo del surplus di bilancia commerciale (si esporta di meno e s’importa di più) la Germania è il paese che più di ogni altro sta contribuendo alla domanda aggregata dell’economia mondiale. Certo, c’è preoccupazione per l’aumento del debito pubblico e per l’invecchiamento del paese, ma come non averne? Che cosa dunque può andare storto nel paese dei conti in ordine?
Tutto nasce nel 2001, quando la Commissione europea mette sotto pressione il governo Schröder per le garanzie statali che la Germania concede alle landesbanken, le banche pubbliche regionali che rappresentano il nodo di collegamento tra l’economia tedesca e il potere politico regionale. Le landesbanken non sono solo clamorosamente inefficienti, ma per decenni hanno nascosto i segreti di un sistema di relazioni e compromessi tra politica ed economia e talvolta di esplicita corruzione. La garanzia pubblica offerta dal governo consente alle landesbanken di raccogliere denaro con un rating da stato sovrano avvantaggiandosi rispetto a banche più efficienti. Il commissario europeo Mario Monti è deciso a colpire questo aiuto indebito. Schröder, dopo una durissima opposizione che mette a rischio i rapporti tra Bruxelles e Berlino, incarica del negoziato un fidato collega socialdemocratico, l’attuale ministro delle Finanze, Peer Steinbrück. Il negoziatore tedesco strappa a Bruxelles la proroga della garanzia alle landesbanken che verrà revocata ma con alcuni anni di ritardo, nel 2005.
Nel giro di circa tre anni, le landesbanken si gettano a raccogliere capitali sul mercato per sfruttare la tripla A e recuperano infatti una cifra stratosferica stimabile in circa 300 miliardi di euro. Ma anziché investirla, come dovrebbero fare per statuto, nelle imprese tedesche, che stanno compiendo una spettacolare ristrutturazione, si comportano come hedge fund investendo i nuovi capitali in titoli esotici, tra cui molte cartolarizzazioni di subprime americani e credit default swap venduti da Aig.
Quasi tutto avviene fuori bilancio.
Lo stesso fanno le banche private tedesche la cui leva finanziaria in alcuni casi, tra cui Deutsche Bank, cresce fino a un rapporto tra attività e capitale superiore a 50. Così tra il 2003 e il 2008 l’aumento dei prestiti del sistema bancario tedesco è minimo, un quarantesimo di quello della zona euro. Gli acquisti di titoli esplodono. Ma ancor più significativamente - i prestiti delle banche ad altre istituzioni finanziarie, pari addirittura al 60% del totale. Tanto più rischiosi sono i titoli, tanto più alto il rendimento atteso destinato a compensare la bassissima redditività della normale attività bancaria e la redditività negativa dei prestiti fatti per istanza politica.
Il volume dei titoli diventati carta straccia e accumulati nelle casseforti delle banche pubbliche tedesche è tuttora ignoto. Le stime variano da quelle superiori a 1.500 miliardi di dollari dell’Fmi ai circa 3 400 miliardi di euro stimati non ufficialmente dalla Bce. In aprile dall’agenzia di regolazione finanziaria tedesca, la BaFin, esce una lista che valuta gli asset tossici delle banche tedesche in 800 miliardi. BaFin ha rinnegato la lista, ma non ha fornito un’altra cifra.
Nelle scorse settimane il governo ha destinato altri 4 miliardi per tenere a galla la WestLB, dopo averne stanziati altri 5 in precedenza, senza che nessuno, tranne ancora una volta Bruxelles, abbia chiesto chiarezza su quella che il commissario Neelie Kroes ha definito «la malattia cronica» delle landesbanken. La Sachsen LB, la prima banca del mondo a fallire all’alba della crisi finanziaria nel 2007, aveva acquistato derivati e titoli asset backed per un volume pari a quasi trenta volte il capitale per poter registrare profitti del 15% necessari ai politici della Sassonia per ripianare le perdite nel bilancio del land. Il fallimento di Hypo Real Estate è stato finora il più clamoroso non solo per le dimensioni enormi del salvataggio pubblico, ma perché i titoli coinvolti, i pfandbriefe (di fatto covered bond) avevano un rating pari a quello delle obbligazioni di stato. Al contrario dei bund, nessun pfandbrief aveva mai avuto problemi di rimborso da quando Federico il Grande li aveva autorizzati.
Erano passati dunque attraverso una decina di guerre militari, due conflitti mondiali,l’iperinflazione di Weimar,ladittatura nazista, la distruzione del paese e la sua ricostruzione. Ma non hanno retto alla crisi attuale. Pochi giorni fa la Bce ha acqui-stato, senza molte spiegazioni, 60 miliardi di covered bond evidentemente per salvare emittenti tedeschi (e spagnoli) di titoli ipotecari, come la Hre.
Ikb, una piccola banca pubblica di Düssel-dorf, è stata venduta rapidamente per 137 milioni di euro a un fondo di private equity nonostante la sua capitalizzazione avesse raggiunto i 18 miliardi e dopo un intervento pubblico di 9,2 miliardi necessario a coprire le perdite su titoli tossici americani. Soldi pubblici pari, per capire, a quanto Helmut Kohl versò a Mosca per il ritiro dell’Armata Rossa dai nuovi länder e rimuovere gli ostacoli all’unificazione tedesca. Sulla base dei conti Ikb, il solo salvataggio delle landesbanken costerà almeno 100 miliardi di euro al contribuente tedesco. A decidere l’operazione, con la collaborazione della BaFin e della Bundesbank, è stato uno dei dirigenti politici del ministero delle Finanze, Jörg Asmussen, senza controllo parlamentare nonostante un vistoso conflitto di interessi, essendo da anni membro del board di Ikb.
Venerdì il Bundestag ha approvato in un surreale silenzio dei media tedeschi una legge che istituisce bad bank (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) nelle quali le landesbanken scaricheranno circa 600 miliardi di euro di attività tossiche e in cambio avranno obbligazioni garantite - ancora una volta - dallo stato. Contrariamente a quanto desiderava inizialmente Steinbrück, le banche che chiederanno l’aiuto dovranno sottoporsi a uno stress test, ma il ministro è riuscito a garantirsi che i risultati non saranno pubblici. Un escamotage davvero utile, perché le landesbanken potranno scaricare non solo gli asset tossici americani, ma anche i loro crediti a basso rendimento, a qualunque titolo siano stati fatti. Non solo, ma vincolando le stesse landesbanken a finanziare per vent’anni le perdite delle bad bank, Steinbrück ha anche assicurato un effetto collaterale: nessun privato si sognerà per due decenni di investire nelle banche pubbliche regionali, che quindi non potranno essere privatizzate per il futuro prevedibile e resteranno sotto lo stretto controllo della politica regionale tedesca. «La legge consentirà la sopravvivenza delle landesbanken», ha dichiarato il responsabile finanziario della frazione CduCsu. E naturalmente anche del sistema di potere che le sostiene.
La superficie della società tedesca è priva di crepe. I ragazzi in bicicletta si fermano disciplinati ai controlli della polizia. 2,7 milioni di lavoratori possono aspettare la fine della crisi continuando a lavorare con orario ridotto grazie agli aiuti di stato. Le imprese stanno spostando le esportazioni dalla Russia verso l’India e l’America Latina. Da quando Frau Merkel ha preso in mano la politica tedesca, sulle ceneri dello scandalo che ave-va travolto il suo partito, ha raccolto l’ammirazione dei leader mondiali e i cittadini europei vorrebbero lei più di chiunque altro a capo di un’Europa politica.Ma poco sotto la superficie i guasti della rete del potere politico- finanziario si allargano giorno dopo giorno. Prima o poi diventeranno evidenti anche agli occhi dei cittadini.