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 2009  luglio 09 Giovedì calendario

DAVID GATES PER L’ESPRESSO 9 LUGLIO 2009

Addio king Jackson Aveva rivoluzionato il pop. Poi era diventato una maschera, un androgino dal colore indefinito. In un volto stravolto dalla chirurgia plastica. Viveva chiuso nel suo improbabile regno. Ricordo del grande artista
Per qualche tempo è stato il re del pop, definizione che a quanto pare coniò la sua amica Elizabeth Taylor, e con ogni probabilità è stato anche l’ultimo. Prima di Michael Jackson ci sono stati soltanto Frank Sinatra, Elvis Presley e i Beatles. Dopo di lui non c’è più nessuno. Il suo album ’Thriller’ del 1982 è ancora oggi un bestseller insuperato. Ma Jackson è stato prima di tutto il Principe dell’Artificio.
Qual è stata la sua creazione più fantastica? La musica o il personaggio? In retrospettiva, molto di ciò che Jackson, scomparso il 25 giugno, all’età di 50 anni, ha conquistato nella vita pare simbolico. Il ragazzino di colore di Gary nell’Indiana, ha finito con lo sposare la figlia di Elvis, e col comprare i diritti dell’intero repertorio di canzoni dei Beatles. E verso la fine, i suoi innumerevoli interventi di chirurgia plastica, la sua malattia della pelle, la sua cospicua perdita di peso e Dio solo sa che altro, lo hanno fatto sembrare un vampiro e una mummia vivente, il gemello morto di Peter Pan.
Una cosa però è certa: Jackson ha eseguito la sua danza della morte come un personaggio centrale dello show del lungo orrore razzista americano. stato uno di quei ’puri prodotti americani’ che, come William Carlos Williams scrisse nel 1923, sono "impazziti". Volendo prendere in considerazione l’ottica più ottimista, annunciata dopo la sua morte dagli emuli del reverendo Al Sharpton, è stato un’icona transrazziale, un nero che gli americani bianchi hanno portato nel cuore, e il cui colore della pelle sembrava di secondaria importanza, come Nat King Cole, Sammy Davis Jr., Sidney Poitier, Harry Belafonte, Jimi Hendrix, Michael Jordan, Oprah Winfrey, Tiger Woods, e, inevitabilmente, Barack Obama.
Essendo un cantante-ballerino naturalmente non appartiene soltanto alla tradizione che fu di Jackie Wilson, James Brown e i Temptation, che pare siano stati i suoi più diretti ispiratori, ma anche alla tradizione di ballerini-intrattenitori quali Fred Astaire e Gene Kelly che, a loro volta, si erano ispirati alle performance di un altro ballerino di colore quale Bill Bojangles Robinson. E ancora: come superstar messianica assomigliò più di chiunque altro a suo suocero Elvis Presley, un personaggio transrazziale anche lui, di un altro colore. Quando infatti i primi dischi di Presley furono trasmessi alla radio a Memphis, i dj sottolineavano che si era diplomato alla Humes High School, una scuola per soli bianchi, per evitare che gli ascoltatori lo scambiassero per un cantante di colore.
Il Principe dell’Artificio, non solo si presentava come un androgino, ma si era represso anche dal punto di vista della razza: i suoi capelli da ricci erano diventati lisci. Le sue labbra da piene a sottili. Il suo naso da largo ad appuntito, la sua pelle da scura a pallida come quella di un fantasma. Non si può non notare un legame tra le due forme di castrazione (la rinuncia alla virilità e alla pelle nera), se si conosce la storia dell’atavico terrore americano per la sessualità maschile dei neri. Un esempio classico è l’omicidio del quattordicenne Emmett Till, nel 1955 perché sospettato di aver flirtato con una donna bianca. Si tratta di un episodio che risale ad appena tre anni prima della nascita di Michael.
Non deve stupire quindi che Jackson abbia scelto, forse per calcolo, di incarnare il sogno americano dell’innocenza e della tenerezza. Non deve stupire nemmeno che l’artificio alla fine sia diventato un incubo e che il volto dell’icona abbia iniziato a sembrare sempre più quello di un cadavere. I lettori dell’ultimo romanzo di Toni Morrison, ’Il dono’ (Frasinelli), ricorderanno il brano nel quale una donna africana rievoca la prima volta che vide degli schiavi bianchi: "Vedemmo uomini che sembravano malati o morti, e presto capimmo che non erano né l’una cosa né l’altra. La loro pelle ci aveva tratti in inganno".
Ma perché Jackson si sentiva così profondamente a disagio con se stesso? L’impresa senza speranze di scolpire il proprio corpo schiarendo la pelle fino a diventare un simulacro di un bianco indica un odio profondo per la propria razza. E se non si può accusare Jackson di aver tradito la propria razza (come dice qualcuno), chi altri dovremmo accusare? In qualche modo, comunque, l’America di colore e dei neri non ne ha tenuto conto.
Come nel caso di Ernest Hemingway, altro esempio di identità confusa e di sessualità androgina, per apprezzare l’artista dobbiamo sapere guardare al di là della creazione di un’icona. Nessuno ha mai calcato le scene come lui. Nel 1988 la critica di danza del ’New York Times’, Anna Kisselgoff lo definì "un virtuoso che usa il movimento a suo favore. Un ballerino all’avanguardia come Merce Cunningham". Perfino lo stesso Astaire telefonò un giorno a Jackson per porgergli i suoi complimenti.
Infine Jackson ha avuto problemi. Problemi come figlio, come uomo di colore. Nei suoi ultimi giorni è davvero possibile che la prospettiva di un ritorno sulle scene, di un nuovo ciclo che avrebbe potuto renderlo ancora una volta un mito, lo esaltasse come esaltava i suoi fan? davvero possibile che i momenti magici delle sue performance abbiano avuto un’intensità incandescente che ha almeno controbilanciato quelli che devono essere stati giorni e ore estremamente gravosi?
Indipendentemente da quello che ha provato dentro, di sicuro fuori la sua vita è sembrata opera di un genio, che lo si chiami un trionfo o lo show di un tipo strampalato. Ma queste sono soltanto parole. Prima di lui non avevamo visto nulla del genere, né dal punto di vista dell’inventiva artistica né da quello dell’auto-inventiva personale. E non lo dimenticheremo, fino a quando la grande Neverland non ci avrà inghiottiti tutti.