Sandro Cappelletto, La Stampa 4/7/2009; Mirella Serri, La Stampa 4/7/2009, 4 luglio 2009
STREGA, IL GIALLO HA NOME LAVINIA
Alla Pietà, per cena, Lavinia mancò all’appello. S’era perduta come un fazzoletto, come un ago nella sabbia; impossibile raccapezzare quando era stata vista l’ultima volta, se si era imbarcata con le altre». Non la troveranno mai, quella putta della Pietà. Fuggita in nave, verso Oriente, in cerca della madre mai conosciuta, sempre immaginata. Era una brava musicista, la migliore tra le allieve di don Antonio Vivaldi, che in quell’orfanotrofio veneziano insegnò per molti anni e con ottimi risultati. Così brava che lui prese come propria una partitura scritta invece da lei, in perfetto stile.
Lavinia come Cecilia, la protagonista di Stabat Mater, il romanzo di Tiziano Scarpa. Stessa ambientazione, molto simile anche la vicenda: una neonata abbandonata sulla ruota di quell’orfanotrofio, diventata giovane donna nel collegio femminile, che non si rassegna a trascorrere lì il resto della vita e vuole invece cercare sua madre.
Tutte e due brave musiciste, scontrose e spavalde, non legano con le altre «figlie della Pietà», vogliono fuggire andando verso Oriente, le proprie radici, il proprio destino, che le affascina più di una possibile buona carriera come musiciste. Tutte e due ci riescono, però prima Lavinia: Lavinia fuggita è infatti il racconto pubblicato nel 1950 da Anna Banti.
Scrittrice, la Banti fonda assieme al marito Roberto Longhi la rivista Paragone, che nel 2005, per ricordare i vent’anni dalla morte, le dedica un numero monografico. Nella prefazione, dal titolo Una regina dimenticata, vengono riportate alcune righe di Cesare Garboli, scritte all’indomani della morte: «La Banti è stata una personalità primaria, tormentatissima, nella storia della cultura italiana di questo secolo. Ha scritto due capolavori, Artemisia (1947) e La camicia bruciata (1973), e il racconto forse più bello di tutto il Novecento italiano, Lavinia fuggita». In quell’occasione Paragone pubblica anche un libretto d’opera da me scritto per la musica di Matteo D’Amico e «liberamente tratto» da Lavinia fuggita.
Nella nota conclusiva del suo libro, Scarpa cita numerosi saggi e romanzi «di cui mi sono servito» nella fase preparatoria alla scrittura. Tra questi, il documentato e appassionante «itinerario, musicale e sociale» di Pier Giuseppe Gillio: L’attività musicale negli Ospedali di Venezia nel Settecento (Olschki, 2006). Altri libri, molti dischi con registrazioni di Vivaldi e del suo contemporaneo Bach, però non una parola sul racconto della Banti, ritornato di attualità in anni piuttosto recenti (la Tartaruga lo aveva ripubblicato nel 1996).
Quando, nel novembre del 2008, a poche settimane dall’uscita di Stabat Mater, la mia recensione su Tuttolibri fa notare questa assenza, piuttosto sorprendente considerata la notorietà della Banti e di Lavinia fuggita, Scarpa mi invia una cortese mail, in cui ribadisce «di non conoscere quel racconto». Una «colpa» alla quale avrebbe presto rimediato. Insieme ci eravamo ripromessi di incontrarci nella nostra città, magari in Campo Bandiera e Moro, dove venne battezzato Vivaldi, per parlarci di Lavinia e Cecilia, e anche dei nostri pediatri, perché fino alla penultima generazione un veneziano che si rispetti doveva essere visitato alla Pietà, secolare ambulatorio chiuso soltanto da pochi anni. L’occasione non è ancora capitata, ma in questi casi è sempre meglio far passare del tempo, soprattutto se Lavinia ti è più simpatica di Cecilia. Intanto, il neo-vincitore dello Strega avrà certo trovato il tempo per leggere il racconto della Banti e innamorarsi di quella ragazza e delle sue «mattane per i velieri grossi che vengono da lontano, per portarla via».
Sandro Cappelletto
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«MAI LETTA. NON HO COPIATO»
Fonte di ispirazione o lontana suggestione, per Tiziano Scarpa, la Lavinia fuggita di Anna Banti? «Nessuna delle due - osserva un po’ seccato il vincitore del premio Strega che a spasso per Roma si sta godendo il meritato riposo del guerriero dopo l’agone del Ninfeo - Figurarsi se quando ho scritto Stabat Mater avevo letto un racconto degli Anni ”50 della Banti. Ma nemmeno a pensarci. Sono andato a vederlo su segnalazione di Sandro Cappelletto. Certo, l’ambientazione è la stessa, ma cosa c’è da stupirsi? Io sono veneziano, sono nato all’Ospedale della Pietà, la musica di Vivaldi fa parte del mio DNA. E’ una storia assolutamente mia: anche perché sarebbe come dire che tutti i romanzi storici che hanno come protagonista Napoleone sono copiati». Nessuna memoria involontaria e nemmeno l’eco di qualcosa sepolto in un lontano passato di letture: Scarpa esclude drasticamente che la storia di Lavinia possa coincidere con quella sua Cecilia. «Io invece ho qualche dubbio - osserva Giuseppe Leonelli, studioso del Novecento e della Banti - Molti i punti in comune tra i due racconti. Entrambi descrivono la vicenda di un’orfanella che vive in una pia istituzione. C’è Vivaldi. Le ragazzine, Cecilia e Lavina, sembrano avere la stessa età. La Banti narra di vere ”fanciulle in fiore” che amano scoprirsi le spalle, misurarsi reciprocamente la grandezza dei seni, scambiarsi bigliettini. Insomma sono adolescenti un po’ morbose appassionate di musica. E Lavinia, imitando la scrittura di Vivaldi, sostituirà le sue sonate a quelle del maestro per appagare il suo desiderio che le sue composizioni vengano eseguite in pubblico. Quando si raffrontano due testi è come in un processo. Tante coincidenze costituiscono una prova».
No, portare la letteratura e i suoi autori in manette davanti ai giudici non serve, il ricordo involontario può essere persino inconsapevole, sostiene il critico Filippo La Porta. «Mi viene in mente il romanzo di Andrea Carraro, La ragione del più forte. Assomigliava molto al racconto La mite di Dostoevskij. Quando glielo feci notare Carraro mi disse che non l’aveva mai letto. Diverso è il caso di Melania Mazzucco che aveva attinto da Tolstoj. Lì c’erano dei veri e propri riscontri testuali. Sono convinto che Scarpa sia in assoluta buona fede. E’ un narratore postmoderno. Si nutre di citazioni e rifacimenti. E ritiene che non esistano esperienze di vita da raccontare. Perché tutto è già stato detto. Il presupposto del suo talento manieristico è proprio attingere dalla letteratura».
Agli scrittori capita spesso, comunque, di andar sotto processo. Dan Brown, J. K. Rowling, Ian McEwan e tanti altri ancora sono finiti sotto queste forche caudine. «Se un autore attinge a piene a mani da un altro la cosa non mi scandalizza per nulla. Barthes diceva ”scrivere è riscrivere”, osserva Elisabetta Rasy, autrice di un dichiarato rifacimento de La falsa amante di Balzac. «Nel mio libro L’altra amante avevo cambiato il punto di vista e l’avevo ambientato ai nostri giorni. Comunque lo stesso procedimento lo usavano i classici che ripercorrevano sempre le stesse storie. Quello di Scarpa non è un giallo che deve avere una trama inedita. Il fascino del libro è la sua lingua, il modo in cui narra. Io non denuncerei nessuno». Concorda lo scrittore Mario Fortunato: «Tutta la storia della letteratura è piena di furti. E poi è possibile che vi siano delle consonanze non volute».
Mirella Serri