Fulvio Milone, La stampa 3/7/2009, 3 luglio 2009
L’UOMO CLIC DEL BLOGGER TOGATO
Fino a ieri lo hanno chiamato il «magistrato blogger». Da domani Gaetano Dragotto, procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona, sarà solo un blogger. Ha deciso di dimettersi dopo che il Csm ha bocciato la sua conferma nell’incarico, mettendo con quella decisione la parola fine a una vicenda che si trascinava da più di un anno: la storia di un magistrato che non ha avuto paura di mettere in discussione il lavoro dei suoi colleghi spulciando fra le sentenze più assurde, e che ora dice addio alle aule dei tribunali.
La riconferma di Dragotto è stata bloccata dal plenum di Palazzo dei Marescialli con 12 no, 5 sì ed altrettante astensioni. I motivi della bocciatura non sono ancora noti, ma lui non ha dubbi: «Da fonti private mi risulta che la causa principale sia stata proprio il blog», dice. E in effetti è impossibile non mettere in collegamento la decisione del Csm con quanto è accaduto nell’ultimo anno, quando alcuni magistrati «vittime» degli strali di un anonimo blogger identificarono nel misterioso castigatore di sentenze proprio il pg Dragotto. Da tempo si maceravano nella ricerca dell’autore delle sferzanti battute con cui venivano liquidate condanne e assoluzioni incongruenti, assurde, talvolta al limite della barzelletta. Come definire diversamente quella intitolata: «Il giudice immaginifico»? Spiegava il blogger: «Per motivare una sentenza di condanna, un giudice di chiara fama usa la seguente espressione: ”Va rilevato che la narrazione dei fatti fornita da Tizio (la parte offesa) trova sostanziale riscontro nelle oculari, concordi e disinteressate deposizioni testimoniali di Caio (il teste). Quando si dice occhi parlanti...”».
Una volta identificato, Dragotto non ebbe alcun problema ad ammettere di essere l’autore del blog che però, aggiunse, sarebbe dovuto rimanere riservato a una stretta cerchia di amici. «Sei troppo cattivo, troppo sarcastico...», cominciarono a dirgli. I colleghi che si sentivano chiamati in causa fecero sentire la loro voce. Fu organizzata addirittura un’assemblea durante la quale Dragotto chiarì che il suo intento era tutt’altro che denigratorio: voleva solo provocare un dibattito e attirare l’attenzione dei colleghi su un modo a volte troppo sciatto e approssimativo di amministrare la giustizia.
Dragotto, dopo aver fatto notare che sul web non era mai stato citato un magistrato con nome e cognome, fu «assolto» dall’assemblea, anche perché si impegnò ad abbandonare il blog incriminato (teminera.blogspot.com), interrompendo una volta per tutte il suo impietoso «bestiario togato». Il caso, però, non finì lì: approdò alla prima commissione del Csm che avviò un’istruttoria per verificare se esistessero i presupposti dell’incompatibilità del magistrato con il suo ufficio e il suo ruolo. In altri termini, Dragotto rischiava il trasferimento. La pratica venne archiviata, ma la prima commissione inviò gli atti ai titolari dell’azione disciplinare, il ministro della Giustizia e il Procuratore generale della Cassazione, perché aveva comunque individuato nel blog «una caduta di stile» e un «tono di scherno in ordine alla professionalità dei colleghi».
Nehttp://89.97.235.212:8188/frammenti/modifica_frammento.php?scheda=180256&pagina=l frattempo, al Csm vennero esaminate altre pratiche intestate a Dragotto. La prima: la sua domanda per ottenere l’incarico di avvocato generale dello Stato. Respinta, nonostante il vasto curriculum del pg. La seconda: un’altra candidatura, questa volta alla nomina di presidente di sezione del tribunale di Grosseto. Respinta. La terza: la riconferma quadriennale alla procura generale della Corte d’appello di Ancona. Sappiamo anche questa com’è finita.
A questo punto, il blogger in toga sbatte la porta. Lascia la magistratura e avvia le pratiche per la pensione, fra le ostentate manifestazioni di solidarietà di alcuni colleghi e la mascherata esultanza di altri. C’è da scommettere che non sentirà la sua mancanza quel giudice che con una singolare sentenza ha imposto al marito separato l’assegno di mantenimento, oltre che per la moglie, per la figlia morta.