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 2009  luglio 03 Venerdì calendario

UNA SVOLTA CHE NON AIUTA LA GIUSTIZIA


Con tre voti di fiducia, in meno di ventiquattr’ore, l’esecutivo ha conquistato il sì definitivo al disegno di legge sicurezza. Un nuovo successo per la maggioranza, una nuova sconfitta per l’opposizione. Ancora una volta, ponendo la fiducia, il governo ha soffocato ogni dialettica parlamentare.
Nonostante le critiche avanzate da ambienti qualificati del mondo del diritto e dalla Chiesa, è stato mantenuto il reato di clandestinità.
Lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni vigenti è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Rispetto alla versione originaria è scomparsa la pena detentiva (che avrebbe prodotto un ulteriore, insopportabile, intasamento delle carceri). E’ stata mantenuta tuttavia la reità del fatto. Anzi, se c’è flagranza, od evidenza del reato, è previsto il rito direttissimo davanti al giudice di pace.

Immagino che numerosi lettori applaudiranno la nuova norma, ritenendo che essa costituisca un esempio di reazione forte dello Stato all’ingresso clandestino in Italia di stranieri delinquenti. In realtà il nuovo reato appare, ai tecnici del diritto, più che altro un «manifesto» privo di logica ed utilità, se non, addirittura, una novità foriera di danni per l’esercizio della giustizia.
Iniziamo da quest’ultimo profilo. La giustizia italiana è, già oggi, travolta da mille incombenze. L’effetto immediato della nuova disciplina rischierà di essere uno tsunami giudiziario di migliaia di nuove iscrizioni e di nuovi processi. Chi sarà, concretamente, in grado di gestire la tempesta? Si dirà: il giudice di pace, senza che la normale giustizia penale trattata dai magistrati togati sia sfiorata.
Nessuno pensa tuttavia che, prima di arrivare davanti al giudice di pace, a gestire la situazione si troveranno le Procure, che dovranno, bene o male, iscrivere i reati, generalizzare gli indagati, e, se del caso, esercitare l’azione penale? Delle due, pertanto, l’una: o esse saranno travolte, e pertanto impedite nello svolgere la loro stessa, usuale, attività d’indagine nei confronti dei reati dei quali già oggi si occupano, ovvero faranno finta. Iscriveranno formalmente i nuovi reati di clandestinità (e già questa sarà un’incombenza pesante), e poi terranno le pratiche nel cassetto. In entrambi i casi, com’è ovvio, qualcosa non funzionerebbe.
Ma passiamo alla logica. Quale può essere la giustificazione della previsione di un «reato» di clandestinità? Il clandestino, se scoperto, deve essere ovviamente espulso dallo Stato, questo è l’obbiettivo primario. Ed infatti anche la nuova legge prevede che lo straniero nei cui confronti si è aperto processo penale per clandestinità, o nei cui confronti c’è stata condanna penale, dovrà essere cacciato dal territorio nazionale. Anzi, se sarà espulso prima della condanna, il giudice dovrà dichiarare il non luogo a procedere.
Ma allora, per raggiungere tale obbiettivo, non sarebbe stato più ragionevole prevedere, semplicemente, lo snellimento delle pratiche amministrative di espulsione, senza scomodare la giustizia penale con la sua chiamata alle armi contro un reato comunque bagatellare? La nuova incriminazione costituisce pertanto, con evidenza, appunto un semplice «manifesto», non è una norma rispettosa dei principi che dovrebbero, ragionevolmente, sorreggere l’attività di un legislatore scrupoloso.
Né si potrà sostenere, per giustificare la novità, che il migrante irregolare è, per definizione, pericoloso: la Corte Costituzionale ha, infatti, già escluso che lo stato d’irregolarità possa essere considerato, di per sé, sintomo presuntivo di pericolosità sociale (sentenza n. 78/2007). E si badi che la Corte, trattando d’immigrazione, in un’altra occasione aveva affermato, con altrettanta chiarezza, che il legislatore deve «orientare la sua azione a canoni di razionalità» (sentenza n. 5/2004), bollando pertanto come incostituzionale ogni disciplina irragionevole della materia.
Che dire, a questo punto, delle ulteriori disposizioni approvate ieri col decreto sicurezza? In questa sede non è possibile una loro analisi dettagliata. Mi limiterò pertanto ad accennare che alcune di esse sono sicuramente apprezzabili, come quelle che prevedono giri di vite in materia di criminalità organizzata od escludono dalle gare di appalto le vittime di estorsione che non denuncino la violenza subita. Che altre suscitano invece grandi perplessità, come quella, soprattutto, che istituisce le ronde cittadine, attribuendo a privati ciò che dovrebbe essere attività riservata ai pubblici poteri.
Il «segno distintivo» della nuova legge è comunque, senza dubbio, il reato di immigrazione clandestina. Ed è su tale profilo che deve essere, pertanto, misurato il livello di civiltà, o di inciviltà, del «legislatore nuovo» che si accinge, in un modo o nell’altro, a trasformare lo Stato italiano e la sua immagine.