Giorgio Pogliotti, ཿIl Sole-24 Ore 3/7/2009;, 3 luglio 2009
SCUDO INGLESE PI BASTONE CHE CAROTA
Il ”modello inglese” a cui, secondo alcune ipotesi, dovrebbe ispirarsi lo scudo fiscale di prossima introduzione, delinea un istituto profondamente diverso rispetto allo scudo fiscale introdotto in Italia nel 2001 e nel 2003. Le differenze tra la misura annunciata dal governo Brown ( New Disclosure Opportunity o Ndo, i cui primi dettagli sono stati illustrati il 4 giugno scorso) e lo scudo fiscale di cui ai Dl 350/ 91 e 282/02 appaiono infatti significative. Diverso è innanzitutto il quadro normativodi riferimento in materia di violazioni sanabili. Contrariamentea quanto previsto dal nostro ordinamento, infatti, in Regno Unito non sussiste l’obbligo di dichiarazione della mera detenzione di investimenti all’estero o di attività estere di natura finanziaria. L’omessa dichiarazione delle consistenze, pertanto, non costituisce una violazione sanzionabile. Le violazioni sanabili attraverso la Ndo sono quindi solo quelle relative alla omessa dichiarazione e tassazione dei redditi transitati sui conti esteri.
Su tali redditi i contribuenti aderenti dovranno comunque corrispondere le imposte in misura piena; l’agevolazione sarà rappresentata unicamente dalle sanzioni applicabili in misura ridotta ( 10% in luogo del 50%) a fronte di una dichiarazione completa di tutte le violazioni commesse. Secondo le prime indiscrezioni, peraltro, le sanzioni saranno ridotte solo al 30% per i soggetti interessati che, pur avendone avuto la possibilità, non abbiano a suo tempo aderito alla precedente sanatoria.
La misura inglese si affiderà quindi a strumenti deterrenti più che all’incentivo rappresentato da una tassazione favorevole: al termine del periodo per l’adesione (marzo 2010), la locale amministrazione finanziaria concentrerà la propria attenzione sui soggetti non aderenti, utilizzando le informazioni sui conti esteri dei clienti nel frattempo raccolte da alcune centinaia di istituzioni finanziarie. Sarà inoltre prevista la pubblicazione dei nomi degli autori delle violazioni più significative (naming and shaming). Anche in ciò è evidente la differenza rispetto ai precedenti scudi italiani, fondati in primo luogo sull’incentivazione degli interessati,prevedendo un’imposta ridotta (del 2,5% o 4%) sulle consistenze patrimoniali, la tassazione forfetaria dei relativi redditi, nonché la non punibilità e la garanzia dell’anonimato.
Pur con le debite distinzioni, anche il prossimo scudo fiscale italiano potrà comunque contare su un effetto deterrente maggiore rispetto al passato. La bozza di decreto legge approvata venerdì introduce infatti una presunzione relativa, ai sensi della quale gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria detenuti in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale in paesi aventi un regime fiscale privilegiato (di cui al Dm 4 maggio 1999 e al Dm 21 novembre 2001) si presumono costituiti mediante redditi sottratti a tassazione. I contribuenti che non riusciranno a ribaltare la presunzione saranno esposti all’applicazione delle imposte e sanzioni in misura piena sull’importo degli investimenti per cui non è stato adempiuto l’obbligo di dichiarazione.
La concreta efficacia deterrente dipenderà comunque dalla capacità di perseguire i soggetti che non aderiranno all’opportunità di rimpatrio dei capitali. Mentre il governo britannico potrà contare sulla raccolta di informazioni dalle istituzioni finanziarie presenti sulla piazza di Londra e dalle rispettive reti internazionali, l’efficacia dello scudo italiano dipenderà in misura maggiore dal concreto ricorso agli strumenti di cooperazione internazionale. Ad aumentare l’appetibilità della misura interverrà comunque nelle prossime settimane l’avvio degli incontri tra le delegazioni di Italia e Svizzera per superare il segreto bancario in materia fiscale e realizzare uno scambio di informazioni pienamente in linea con gli standard di cui all’articolo 26 del Modello di Convenzione dell’Ocse.