Andrea Scanzi, La stampa 2/7/2009, 2 luglio 2009
”MEGLIO BANFI DI MORETTI”
Elena Di Cioccio: basta snobismi, quel cinema fu grande
Non si sa bene quando tutto sia cominciato. Forse è stato Quentin Tarantino con la sua infatuazione per Barbara Bouchet, forse Marco Giusti con i suoi gusti da bastian contrario, sta di fatto che un (bel?) giorno persino i refoli di Bombolo sono diventati Cinema da celebrare. A tale rivalutazione si dedica - con ironia - Stracult, la cui edizione estiva volge al termine. La presentatrice (con Giampaolo Morelli) è Elena Di Cioccio. Iena e figlia d’arte. Musicofila, eclettica. Attrice nell’opera prima Nauta. Autoironica: «David Pratelli, l’imitatore del programma, mi chiama ”De Coccio" e dice che ho il nasone. Va bene così, lui è bravissimo, più vero del vero Christian De Sica».
Ha senso rivalutare il cinema pecoreccio?
« stato un genere basso che ha dato la possibilità di fare prodotti alti. I film popolari hanno fatto cassa e abituato la gente ad andare al cinema. Piano con gli snobismi, c’erano attori grandissimi come Renzo Montagnani. Eccome se va rivalutato».
Quindi l’approccio alla Nanni Moretti, per lei, è odiosamente élitario.
«Non dò giudizi, ma in mezzo a quel cinema popolare trovi sketch lunghissimi di Lino Banfi e Alvaro Vitali, tipo cinque minuti di fila, dove o sei bravo o fallisci. Alcuni sceneggiati erano grandiosi, penso a Ritratto di donna velata o Sandokan, con la troupe che va sei mesi in Malesia. I filmacci erano pieni di maschere italiane: lo sfigato, lo sfruttatore, il libidinoso. C’era il filone pruriginoso e quello poliziottesco, il medievale e le pastorelle. Edwige Fenech era bravissima. Lo snobismo lo lascio ad altri».
Anche la tivù è fatta di maschere: la bella, la simpatica, l’intellettuale. E lei?
«Di sicuro non sono la bonazza. Io non sono bella: al massimo sono carina. Devo puntare su altri aspetti, fare emergere la mia personalità».
Meglio Stracult o Le Iene?
«Le Iene è più difficile, studi per settimane e sei costretta a rischiare. Però ti togli anche degli sfizi. Ho fatto un servizio sulle tracce biologiche unicamente per poter usare le lucine viola-blu di Csi».
Perché si definisce «velenosa»?
«Perché in radio suona bene: ”Elena la velenosa". Fa capire che ho la battuta pronta. In realtà sono molto sensibile, per questo mi nascondo facendo la velenosa».
Quando ha capito di voler fare tivù?
«Organizzavo concerti e un bel giorno ci ho provato. stata dura. Facevo la scuola di teatro, ogni tanto prendevo 10 euro come speakerista di spot pubblicitari sulle macellerie. La sera mettevo i dischi in discoteca, al mattino registrato a Radio Parma, poi tornavo a Milano per lavorare in due emittenti di Caterina Caselli. Ritmi pazzeschi».
una scelta quella di fare programmi di nicchia?
«Sì e no. Il Festivalbar lo farei subito, come la Panicucci o la Marcuzzi. un programma perfetto, unisce musica e radio. Altre cosacce tipo Piazza Italia o quelle robe lì, proprio no. C’è un limite anche al nazionalpopolare. E neanche ho molto in comune con una come Victoria Cabello. Io a Sanremo? Non mi ci vedo. Scuole di pensiero diverse».
Suo padre Franz che dice?
«Mio padre è un istrione. Lavora per emozioni, non è mai costruito. Profondo, ricco, sensibile. uno che, alle feste ”infichettate", si presenta con jeans e felpa perché così poi fa prima a portare fuori il cane. Lo adoro. Però, concretamente, non mi ha dato nessuna spinta. Fa trecento concerti l’anno, neanche ne avrebbe avuto il tempo».
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