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 2009  luglio 02 Giovedì calendario

HONDURAS RAPPORTO SULL’ULTIMO GOLPE


TEGUCIGALPA
Roberto Micheletti, l´industriale di origine bergamasca che da domenica è il presidente de facto dell´Honduras, è già diventato "Pinochet-ti" o "gorilletti". Chiuso nel palazzo presidenziale, circondato e difeso dalle truppe di élite dell´esercito, "Pinochetti" tutte le mattine chiama la tv nazionale e lancia proclami: ieri ha esortato gli impiegati pubblici a tornare al lavoro promettendo che non ci saranno rappresaglie contro chi ha scioperato. Molte scuole senza maestri e l´Università chiusa, gli uffici pubblici semi vuoti, gli ospedali che funzionano in emergenza, sono il segno che la protesta dei sindacati vicini a Manuel Zelaya, il presidente deposto, non s´è affatto spenta e che la "normalità" con la quale i golpisti vorrebbero presentarsi al resto del mondo è fatalmente incrinata. Bisogna arrivare sul viale Giovanni Paolo II per accorgersi che qualcosa non va. All´altezza del palazzo presidenziale la strada intitolata a Papa Wojtyla è tagliata in due dai plotoni e dai blindati dell´esercito ma la vita quotidiana nel resto della capitale sembra tranquilla.

Honduras, dopo il golpe la fame

A Tegucigalpa nelle strade presidiate dai tank. Le scorte di viveri si assottigliano

Alle frontiere camion di rifornimenti bloccati, interrotto l´afflusso il petrolio
La sfida è rinviata a sabato: Zelaya ha deciso di tornare nonostante la minaccia di arresto

All´aeroporto la frontiera si passa in un attimo senza domande e solo i soldati appostati in alcuni incroci e davanti a tutti gli edifici pubblici svelano la realtà.
Oggi l´Honduras è un paese completamente isolato. Dopo quelli latino americani anche gli ambasciatori di Italia, Francia e Spagna stanno lasciando il paese richiamati in patria «per consultazioni». Ma la vera angoscia di "Pinochetti" è un´altra: è il blocco economico deciso dagli altri paesi del "Cafta", l´accordo di libero scambio che lega i centroamericani agli Usa.
Le tre frontiere terresti dell´Honduras, a nord con il Guatemala e a sud con Salvador e Nicaragua, sono chiuse e decine di automezzi con latte, frutta, carne e legno sono bloccati lungo le strade.
Insieme all´ultimatum dell´Osa, l´Onu americana, 72 ore per ripensarci, è lo strangolamento dell´economia che può indebolire davvero il gruppo golpista. Caracas ha già interrotto il flusso di petrolio, Washington attraverso la Banca Mondiale ha congelato i prestiti e cancellato la cooperazione militare, gli altri paesi dell´area, fermando le esportazioni dell´Honduras, possono mettere in ginocchio Puerto Cortes, il più grande porto centroamericano sull´Atlantico. Così qualche voce di dissenso s´è già alzata anche all´interno dell´oligarchia che domina il paese e che, insieme ad esercito e Parlamento ha organizzato il putsch contro Zelaya, il presidente nato a destra e diventato di sinistra durante il cammino quando ha abbracciato il bolivarismo di Chavez e Ortega.
Mentre "Pinochetti" e il gruppo dei congiurati ribadiscono «che non esiste alcuna possibilità» di un ritorno al potere di Zelaya, si dice che nelle Forze Armate ci sia qualche generale, orfano del sostegno americano, già pronto al "controgolpe". E Ramon Custodio, un anziano e autorevole medico, presidente della Commissione nazionale diritti umani, ha avanzato un´idea per uscire dall´impasse. «Facciamo un referendum», ha detto, «per decidere se Zelaya deve tornare al potere oppure no».
Tv e giornali si autocensurano e diffondono il verbo dei nuovi padroni che sono anche i loro proprietari ma le onde, molto più libere, delle radio diffondono le notizie che gli altri nascondono. Le proteste più violente sono state a San Pedro de Sula, seconda città e cuore mercantile del paese, e all´interno, nelle province lontane da Tegucigalpa tra i contadini che, insieme ad operai ed impiegati pubblici, hanno formato il blocco sociale che ha sostenuto Zelaya e la sua svolta filo-chavista. Che il fronte golpista lentamente vada incrinandosi lo dimostra anche l´ultimo appello tv di Micheletti quando il presidente de facto ha riconosciuto il lavoro svolto tra i poveri dalle missioni dei medici cubani volute dall´ex presidente ed ha promesso che non le caccerà dal paese.
Zelaya per ora ha rinviato il ritorno in Honduras che aveva fissato per oggi lasciando ai diplomatici dell´Osa, l´Organizzazione degli Stati americani, altro tempo per trattare una resa onorevole di Micheletti e compagni. Come andrà a finire questa prima crisi nel cortile di casa del presidente Obama è ancora presto per capirlo. Washington ha due problemi. Da una parte lavorare per restituire una "legittimità democratica" all´Honduras chiarendo una volta per tutte ai generali formati nelle scuole militari d´America che non è più tempo di "bananas", dall´altra evitare che la crisi rafforzi Chavez e l´influenza "bolivariana" sull´America Latina. Zelaya deve tornare al suo posto ma senza plebisciti e deve andarsene, com´era previsto, a novembre quando l´Honduras dovrà eleggere un altro presidente. Per sabato lo show-down: il capo di Stato estromesso tornerà in patria, con o senza, il consenso dei golpisti.