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 2009  luglio 02 Giovedì calendario

CASO MONTESI, LA TALPA DI FANFANI


Ingrao rivela di aver ricevuto soffiate dal leader dc. I dubbi degli storici

«Ricordo nettamente che le pri­me notizie, le prime spiate su­gli ambienti di Capocotta dove si erano svolti i fatti e quindi la spinta a occuparci del caso vennero da Amintore Fanfani e dai fanfaniani. Furono loro a metterci sulla pista, spingendoci a seguire bene la cosa. E noi trovammo appoggio negli ambienti del mini­stero degli Interni, dove c’era un segugio che ci passava le informazioni».

In un’intervista a Stefano Cappellini, pubblica­ta ieri dal «Riformista», Pietro Ingrao, leader sto­rico del Pci, rilancia il ruolo svolto da Amintore Fanfani nel caso Montesi, lo scandalo scoppiato tra il 1953 e il 1954 che travolse parte della vec­chia guardia dc lasciando mano libera alla cor­rente fanfaniana di «Iniziativa democratica», vit­toriosa al congresso di Napoli del giugno 1954. L’intervista a Ingrao, che all’epoca del caso Mon­tesi era direttore dell’«Unità» (lo fu per dieci an­ni, dal 1947 al 1957), è giocata sul parallelo con il sexgate che ha coinvolto il presidente del Consi­glio Silvio Berlusconi, ma quel riferimento così esplicito a Fanfani, del cui ruolo si è sempre scrit­to e sussurrato, è questione per storici.

Il primo scandalo dell’Italia repubblicana (In­grao in un editoriale del 7 febbraio 1954 parlò di «questione morale») partì dal ritrovamento l’11 aprile 1953 del corpo seminudo di una ragazza ventunenne, Wilma Montesi, sulla spiaggia di Torvajanica. Già il 16 aprile il questore di Roma, Ennio Polito, si affrettò a dire che si trattava di una disgrazia: Wilma era morta per un malore in seguito a un pediluvio. Ma il 4 maggio sul «Ro­ma » comparve una corrispondenza di Riccardo Giannini: «Perché la polizia tace sul caso Monte­si? ». Giannini era il direttore di un giornale di estrema destra, «Il merlo giallo» su cui apparve la vignetta in cui un reggicalze, uno degli indu­menti intimi mancanti sul corpo della povera Wilma, veniva portato in questura da alcuni pic­cioni. Era una pesante allusione al figlio del lea­der democristiano Attilio Piccioni, il jazzista Pie­ro, destinato a diventare compositore di alcune delle più note colonne sonore di film italiani.

Del caso si parlò poco nei mesi estivi. Venne riaperto, il 6 ottobre, da un giornale minore, «At­tualità », diretto da Silvano Muto, un giornalista scomparso di recente. Non a caso, notava mali­ziosamente Giorgio Galli nella sua Storia della Dc pubblicata nel 1978, quando ministro degli In­terni era Amintore Fanfani. Muto fu denunciato per calunnie e il 28 gennaio 1954 si presentò da­vanti ai giudici difeso dall’avvocato comunista Giuseppe Sotgiu. Durante il processo Muto rive­lò che nella tenuta di Capocotta, gestita dal mar­chese Ugo Montagna, si svolgevano festini ai qua­li partecipavano tra l’altro i figli di alcuni notabi­li dc, tra cui Piero Piccioni e Alfonso Spataro. Du­rante una di queste feste, in cui si faceva uso di droghe, Wilma Montesi avrebbe avuto un malo­re e poi sarebbe stata abbandonata sulla spiag­gia di Torvajanica. In questo processo fece la comparsa un altro personaggio che occupò per mesi le cronache con i suoi memoriali, Anna Ma­ria Moneta Caglio, figlia di un notaio milanese che il 9 febbraio, alla vigilia della presentazione del nuovo governo Scelba, annunciò di aver det­to tutto a Fanfani.

«In effetti Fanfani sapeva e seguiva con atten­zione tutta la vicenda», dice Agostino Giovagnoli, professore di storia all’Università Cattolica di Mila­no e uno dei curatori dei Diari del leader democri­stiano aretino che presto usciranno dall’editore Rubbettino. «Verso la fine del 1953 – continua lo studioso – Fanfani annotò di aver ricevuto i me­moriali della Moneta Caglio, che poi sarebbero stati resi pubblici soltanto nel marzo dell’anno successivo. In un passo dei Diari del 21 marzo ”54 Fanfani annotò poi che De Gasperi era preoccupa­to per Scelba, che gli sembrava più al corrente del­la cosa di quanto dicesse. Il 23 marzo aggiungeva: ’Le chiacchiere si moltiplicano ed ormai investo­no non solo Piccioni e Spataro, direttamente, ma anche Scelba’. E il 25 marzo: ’La Caglio ha aggiun­to a D’Arcais che Gedda andava spesso da Monta­gna, nella cui casa si facevano anche riunioni poli­tiche presenti Piccioni, Spataro e Scelba. La Ca­glio aggiunge che Andreotti aveva rapporti intimi con Montagna, tanto che ci fu una lite con Anto­nello Galezzi-Lisi, per gelosia; lite a cui era presen­te la Caglio. E qui mi pare davvero di sognare!».

La vicenda si concluse con le dimissioni il 19 settembre di Attilio Piccioni da ministro degli Esteri, alla vigilia dell’arresto del figlio Piero che dopo un lungo processo fu scagionato anche per­ché aveva un alibi di ferro: la sera in cui morì Wilma Montesi, Piero si trovava con la fidanzata Alida Valli, circostanza confermata da altri testi­moni.

Per Giovagnoli è tuttavia «dubbio che Fanfani fosse il referente diretto di Ingrao». Più probabi­le, aggiunge Vincenzo Vasile, che al caso Monte­si ha dedicato un libro, La ragazza con il reggical­ze, uscito nel 2005 con «l’Unità», che «il referen­te di Ingrao al ministero degli Interni fosse lo stesso colonnello dei carabinieri, Umberto Pom­pei, uomo di fiducia di Fanfani. Tutto il caso Montesi fu percorso dal braccio di ferro tra la po­lizia che cercava di affossare l’inchiesta e i carabi­nieri che la rilanciavano».

In realtà, sostiene Alfredo Canavero, biografo di Alcide De Gasperi e studioso della Dc, non è certo che Piccioni, uomo perbene e vecchio espo­nente dei Popolari sconfitto dai giovani rampan­ti, si dimise da ministro degli Esteri in seguito allo scandalo: «Piccioni non condivideva l’impo­stazione data alla soluzione della questione di Trieste». E con ogni probabilità aveva visto con una certa malinconia l’affermarsi al congresso di Napoli del rivale Amintore Fanfani, con la bene­dizione dello stesso De Gasperi.