Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 02 Giovedì calendario

LO STILE DI PROMETEO

Un’arte delicata e millenaria, quella della lana. Dove conta la mano, il passaggio lieve delle dita sul tessuto. «Dopo 25 anni di mestiere so riconoscere al tatto se è una fibra da 15 micron o da dieci», afferma Brunello Cucinelli, uno dei leader mondiali nel cashmere di alta gamma: «la mano significa morbidezza, setosità, naturalezza del tessuto. il cuore del nostro lavoro. Nulla deve alterarla o dare appena l’impressione di artificiale».
Eppure le nanotecnologie si affacciano anche nell’area più sofisticata del tessile. Negli interstizi delle fibre naturali, cashmere, vicugna o alpaca (da 4 a 6 volte più fini di un capello) si possono inserire nanostrutture da dieci a cento volte più piccole, progettate per respingere i liquidi, per schermare i raggi solari, per rilasciare profumi o agire da antibatterici.
Chimica avanzata, fisica dei plasmi, biotecnologie degli enzimi appaiono le strade più promettenti per reingegnerizzare i tessuti, stando almeno all’ultima edizione del Nanoforum di Torino. Molto più facile farlo per i tessili tecnici (capi sportivi più o meno estremi, tende, rivestimenti, persino coperture stradali...), o per il cotone di magliette o jeans. Ben più ardua l’impresa per chi ha fatto della fibre fini, e naturali, la sua bandiera.
«Noi operiamo a 360 gradi – spiega Anna Zegna, dell’omonimo gruppo laniero – da un lato produciamo il cashmere Oasi, tinto senza un milligrammo di chimica, e tutto per infusione.
Dall’altro lavoriamo sull’innovazione spinta. Abbiamo tessuti antimacchia su cui puoi rovesciare una tazzina di caffè o un’insalata e rimuovere tutto dal vestito con un fazzoletto di carta e senza tracce. Produciamo dei blazer blu che si comportano, al calore solare estivo, come se fossero bianchi. Un "cool effect" che genera, a parità di colore, dieci gradi in meno sulla superficie del tessuto.
Una particolare tecnica di tintura che fa in modo che i colori scuri, invece di assorbire la luce, la respingano, esattamente come i chiari».
Cucinelli, appartiene invece, al partito degli scettici. Per lui esiste solo il naturale puro: «Sono anni che gli studiosi ci provano. Ma ogni volta che in lavanderia, in tintoria o in follatura si mettono degli additivi non normali se poi si passa la mano si sente in qualche modo l’artificiale. E questo per noi non è accettabile».
Eppure la tecnologia è in pieno movimento. Alla Arioli di Como, meccanotessile, hanno appena presentato la prima macchina per la deposizione al plasma a ciclo continuo sui tessuti. A temperatura ambiente il sistema,sviluppato con l’Università di Milano e la Stazione sperimentale per la Seta, "lima" le superfici dei tessuti e inserisce, via gas ionizzati, atomi, molecole, o film polimerici. «Con la deposizione al plasma – spiega Nicoletta Di Vietro della Plasma Solutions, una spinoff dell’università di Bari – l’inserimento di prodotti chimici può essere minimo e mirato».Anche se passare dalle macchine da laboratorio al ciclo continuo industriale non è uno scherzo.
Una strada alternativa è il sol-gel, una tecnica chimica che consente di produrre, in soluzioni acquose o di alcol, nanostrutture di ossidi metallici, come il nanotitanio, già utilizzato per tende a rivestimenti fotocatalitici (capaci di uccidere batteri o degradare inquinanti con la luce so-lare). «Dentro i nano-reticoli possiamo ospitare varie molecole – spiega Lorenza Draghi di Nanosurfaces, spinoff del Politecnico di Milano – dai profumi a rilascio controllato, a pigmenti che cambiano colore alla luce. Il tutto via semplice immersione, e normali macchine di finissaggio. Ma il difficile è la chimica retrostante ». Basta poco, con i sol gel, per ottenere una lana anti-infeltrente, ma con «effetto cartone».
E infine gli enzimi, ovvero i catalizzatori biologici prodotti da micro- organismi più o meno ingegnerizzati. «Alcuni, come l’amilasi, si usano da secoli per togliere l’amido dalle fibre di cotone – spiega Gianfranco Peluso del Cnr di Napoli – altri, come la proteasi, attaccano le micro-scaglie che rivestono le fibre di lana, e le rendono più morbide, ma anche più fragili. Per questo stiamo lavorando su tecniche ibride, in cui la proteasi distrugge e le transglutaminasi contemporaneamente riparano le fibre». « come passarle alla carta vetrata, per toglierne le asperità. Sono trattamenti noti ma delicatissimi – osserva Zegna – gli enzimi agiscono sotto azione meccanica e di temperatura. Basta una piccola variazione e cambia tutto. E anche sulla deposizione al plasma ci stiamo interessando da vari anni». Ma Cucinelli aggiunge: «Non sono contro la ricerca, anzi. Ma vorrei che sviluppasse, anche con le nanotecnologie, coloranti più ecologici. Su questo sì che sono disposto a scommettere».