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 2009  luglio 02 Giovedì calendario

MR MADOFF, LA PROSSIMA VOLTA CI PROVI QUI IN ITALIA!

Alla rapidità Italo Calvino ha dedicato una delle sue cinque Lezioni americane. Lo scrittore parlava dell’elaborazione di un racconto ma se avesse assistito al trattamento che la giustizia degli Stati Uniti ha riservato a Bernard, detto Bernie, Madoff ne sarebbe rimasto impressionato.
Sei mesi o poco più per arrivare alla condanna a 150 anni di prigione di un uomo che di anni ne ha 71. Giudicato colpevole di 11 reati dal tribunale di New York ma reo in sostanza di aver fatto sparire qualcosa come 50 miliardi di dollari dai portafogli dei suoi clienti con un colossale schema di Ponzi. Madoff proponeva strumenti finanziari con rendimenti spettacolari che pagava raccogliendo altri fondi da clienti attratti proprio da quei rendimenti. Come una catena di Sant’Antonio.
Madoff è reo confesso e si dichiara pentito. Chiede scusa alla gente che ha rovinato. Soltanto, si ostina a negare che qualcu-no l’ha aiutato, non fa nomi. I giudici non si commuovono, e non hanno esitazioni. Madoff rimane agli arresti domiciliari per tutto il tempo delle indagini che si chiudono in poche settimane e il processo non incontra ostacoli procedurali. La sentenza arriva in un lampo. Dei soldi rubati se ne recupera una minima parte ma pazienza, il segnale è forte e chiaro: chi viene pescato con le mani nel sacco (ma bisognerebbe dire nel computer) non ha scampo. E deve pagare.
Roma dista 6.841 chilometri da New York ma se si misurasse la distanza della giustizia italiana da quella americana servirebbero gli anni luce. Il processo a Sergio Cragnotti è cominciato nel 2003, quello a Calisto Tanzi nel 2005. E sono ben lontani dalla conclusione. Forse il vero errore di Madoff è stato quello di non scegliere l’Italia come base delle sue malefatte. Perché con quei reati sarebbe stato condannato al massimoa 30 anni (otto reali), che sono comunque abbastanza per un settantunenne. Ma in realtà avrebbe probabilmente beneficiato della prescrizione. C
ragnotti, nel suo piccolo, è un presunto Madoff de noantri. accusato di bancarotta fraudolenta. Non gestiva hedge fund ma, per molti versi, ha fatto come Bernie, succhiando 1.125 milioni di euro ai risparmiatori cui le banche, ansiose di rientrare dai debiti della Cirio, la società di Cragnotti, avevano venduto delle obbligazioni. Senza contare quello che hanno perso gli azionisti della Cirio che era quotata in borsa.
Sono passati sei anni dalla dichiarazione d’insolvenza.Correva il lontano 2003.L’anno dopo Cragnotti si fece anche sei mesi di carcere. Da allora il percorso giudiziario della vicenda ha fatto pochi passi avanti. Dopo la chiusura delle indagini e l’incriminazione, dopo una serie di lungaggini procedurali, il processo è giunto all’inizio della fase dibattimentale: in sostanza comincia adesso. Da quattro anni è formalmente aperto ma i testimoni arrivano in aula ora.
Intanto il reato di truffa è stato prescritto e pian piano andranno in prescrizione gli altri. «L’orizzonte temporale perché si arrivi a una sentenza passata in giudicato è otto, nove anni», commenta Luigi Farenga, avvocato e commissario straordinario della Cirio.
«Cragnotti – aggiunge Titta Madia, l’avvocato penalista della procedura Cirio – è imputato di bancarotta che si prescrive in 12 anni e mezzo. Sarebbe grave se si arrivasse alla prescrizione perchè è un reato grave. Eppure ho la sensazione che la difesa punti a quello».
E Cragnotti? fuori dal giro degli affari e della finanza, o almeno così pare. Se ne sta tranquillo a casa sua. Rilascia interviste, scrive libri ( Un calcio al cuore ). «La lentezza della giustizia italiana è assurda – commenta ancora Madia – perché più passa il tempo e più si stemperano gli animi. Si può mandare in galera un colpevole quando sono passati dieci anni dai fatti? Fa uno strano effetto». Già, prendersela oggi, dopo tanto tempo, con un uomo che ha quasi 70 anni sembra quasi una cattiveria.
Ma Cragnotti può stare tranquillo. Perché è comunque molto difficile che si arrivi a una condanna. I reati "finanziari", quelli di cui si è macchiato Madoff, in Italia sono di fatto depenalizzati grazie alla prescrizione che scatta dopo sette anni e mezzo. «A meno – precisa Madia ”di non incappare in ma-gistrati dalla produttività fuori dalla norma. E ce ne sono, a Torino, a Cremona, anche a Reggio Calabria. A Milano il processo Pollari va avanti a ritmi formidabili perché c’è un giudice che fa udienza tutti i giorni».
Dunque è un problema di volontà e di capacità del singolo magistrato, oltre che di organizzazione dei tribunali.Poi c’è una differenza sostanziale nelle modalità processuali. «Sono quasi due eccessi opposti – osserva Farenga ”: negli Stati Uniti una velocità e un pragmatismo esasperati, da noi un garantismo altrettanto esasperato». Insomma il processo americano dà quasi l’idea del giudizio sommario, con ampio spazio al patteggiamento per i complici e quindi con l’obiettivo, pragmatico, di chiudere rapidamente. In Italia si spreca un sacco di tempo per perseguire i complici e si perde di vista uno degli obiettivi che è l’efficienza del sistema.
Calisto Tanzi è l’altro grande presunto truffatore italiano degli ultimi anni. Il proprietario della Parmalat è accusato di vari reati ma la sostanza è che 7 miliardi di obbligazioni collocati dalle solite banche nei portafogli dei risparmiatori si sono volatilizzati. Circa la metà sono stati rimborsati sotto forma di azioni della nuova Parmalat. Ma il danno non è da poco. E altri ci hanno rimesso in un crack valutato 14 miliardi.
La Procura di Milano ha accusato Tanzi e i suoi presunti complici di aggiotaggio mentre quella di Parma ha imputato loro la bancarotta. I processi, che sono cominciati nel 2005, si sono moltiplicati. Uno solo, quello per aggiotaggio a Milano, si è concluso, con molti patteggiamenti e la condanna di Tanzi a dieci anni di reclusione. Naturalmente non è finita lì perché il giudizio era di primo grado. Ora bisogna attendere la Corte d’appello e la Cassazione. Quindi, è ragionevole prevedere che nel frattempo il reato vada prescritto. E anche a Parma tutto procede molto a rilento. Per Madoff sarebbe stato assai conveniente dover affrontare la giustizia italiana. Anche con quel fantastico record di 50 miliardi di dollari truffati agli investitori non avrebbe avuto molto da temere. Il Sole- 24 Ore ha già raccontato (l’11 febbraio scorso) che un ipotetico Bernardo Madoffi, sofisticato truffatore made in Italy, sarebbe rimasto a piede libero per tutta la durata delle indagini perché per i reati di truffa e di appropriazione indebita la magistratura non può procedere con le misure cautelari in quanto la pena massima prevista è di tre anni.
Ma anche dopo il rinvio a giudizio le prospettive di Bernardo Madoffi sarebbero assai meno grame di quelle del quasi omonimo Bernie Madoff. Un Madoff italiano si troverebbe comunque in una condizione molto diversa, e sotto ogni profilo più favorevole per lui rispetto al grande imbonitore di New York. Non solo per l’entità della pena, che nemmeno nel peggiore dei casi possibili arriverebbe a sfiorare i 30 anni di carcere, ma anche per i tempi e i percorsi di accertamento delle sue responsabilità.
In Italia, per esempio, Madoff non risponderebbe del reato più grave contestatogli negli Usa, vale a dire il riciclaggio: l’impiego in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità di origine criminale – con lo scopo di «ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa» – da noi non può essere imputato a chi ha commesso i reati da cui provengono le fortune. Quindi, per il nostro codice, il Madoff che prima truffa e poi, dopo una lunga serie di reati strumentali, fa sparire il malloppo, non può andare a processo per riciclaggio. Una differenza non da poco e non solo accademica, perchè anche in Italia i maggiori problemi, soprattutto per la prescrizione, li darebbe proprio il lavaggio degli investimenti traditi: 12 anni (massimo) di carcere, aumentabili fino a 16 perchè commessi nell’esercizio di un’attività professionale. E 12 anni, estensibili fino a 18, sarebbe anche la durata della prescrizione, un salvagente importante visti i tempi mediamente necessari, in Italia, per la chiusura dell’inchiesta e poi per le quattro fasi del giudizio (dall’udienza preliminare fino alla Cassazione).
In compenso nei grandi crac italiani la magistratura ha sempre contestato la bancarotta fraduolenta – di cui non c’è traccia invece nelle imputazioni a Madoff – che, nel caso specifico, potrebbe costare al nostro finanziere fino a 15 anni di carcere, e soprattutto altrettanti nell’italianissimo corner della prescrizione dei reati.
Molto più blandi, invece, i rischi per gli altri crimini caricati al Madoff americano. La truffa aggravata e la gestione infedele del patrimonio affidato (più o meno la traslazione della securities fraud e investment adviser fraud) valgono, nella peggiore delle ipotesi per l’imputato, tre anni di carcere. La falsa testimonianza e lo spergiuro neppure sarebbeo concepibili nel nostro sistema giudiziario, dove l’imputato ha sempre il diritto di mentire (almeno durante il suo processo). Quanto all’appropriazione indebita aggravata, che nell’immaginario collettivo rappresenta meglio di altri crimini l’attività dell’investitore truffaldino, non si andrebbe oltre i tre anni e una multa di 1.032 euro, esattamente un centomilionesimo del profitto del reato.
L’elencazione dei delitti e delle pene,e soprattutto della loro somma, non deve però trarre in inganno. In Italia, a differenza degli Stati Unti, nei delitti dolosi non è possibile fare il cumulo materiale delle pene; il giudice invece deve individuare il reato più grave e, al limite, aumentare la pena fino al triplo, ma in ogni caso se non è previsto l’ergastolo per i fatti commessi (e senz’altro qui non è previsto) la pena non può in alcun caso superare 30 anni di carcere. A cui si arriverebbe peraltro molto difficilmente, perchè se l’imputato è incensurato è arduo negargli le attenuanti generiche, e anche in caso contrario queste finirebbero per neutralizzare le aggravanti contestate, nell’ambito del giudizio di comparazione.
Già 20, 25 anni sembrerebbero una pena "monstre", e in ogni caso ancora molto teorica. Sempre che il nostro Madoffi ultrasettantenne varchi il portone di un carcere - potrebbe chiedere la detenzione domiciliare, o addirittura il differimento della pena con un convincente certificato medico – il decorso dell’esecuzione della pena si gioverebbe quasi certamente, visto il profilo del condannato, dei benefici della legge Gozzini: 3 mesi di sconto ogni anno (45 giorni ogni 6 mesi, per la precisione) e, una volta superato il crinale di metà pena, l’accesso quasi automatico al regime di semilibertà. In definitiva, quanto carcere per il nostro Madoffi? Otto, massimo nove anni effettivi, nella peggiore delle ipotesi per lui, contro i 150 "blindati" del suo collega americano.
E, soprattutto, in quanto tempo sarebbe maturata la condanna? Qui la pratica viene in soccorso della teoria: basti considerare che dopo sette anni il crac Parmalat è ancora a metà del guado, con una condanna in primo grado a Milano per Calisto Tanzi (10 anni, appellati anche dalla Procura e destinata a finire certamente fino in Cassazione: minimo altri 4 anni di percorso prima di diventare definitiva e poi esecutiva) e il grosso dei reati societari ancora al vaglio del primo processo a Parma: prima del 2015 è altamente improbabile che venga depositato l’ultimo atto definitivo sulla vicenda. Dodici anni contro sette mesi di durata, per un risultato di 150 anni contro una decina scarsi. Meglio, molto meglio l’italian job.