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 2009  luglio 02 Giovedì calendario

STELLA PENDE PER PANORAMA 2 LUGLIO 2009

Addio Corriere, mon amour Dopo 34 anni lascia il giornale di via Solferino. Ma non sparisce di scena e apre un sito di consigli. Qui dàà i voti ai nove direttori avuti, Mieli e De Bortoli compresi.
E la signora del Corriere della Sera ha fatto le valigie. Dopo 34 anni di ”militanza struggente” nella cronaca del più nobile dei fogli milanesi, Lina Sotis, regina del bon ton, è arrivata alla pensione. ”Ragazza di 65 anni”. Come dice di lei il fattorino ”pallidone” in persona. In questi anni dalla tolda della sua scrivania ne ha viste di tutti colori. Amori, veleni, bassezze, splendori. Nove direttori di cui ”due pentiti e raddoppiati”. Diciotto inviti al giorno, sette tappe a serata: sindaci, ministri, salotti veri e ”irrestaurabili”. Sarà più orfano il Corriere di zia Lina o la Sotis del giornale amato? Intanto per onorare il suo addio il Piccolo Teatro Strehler l’ha salutata con la Soirée Sotis, atto unico ricamato sui testi di Ragazze, l’ultimo libriccino che la Sotis ha spedito in edicola.
Commossa, addolorata, liberata, come sta la Sotis che va in pensione?
Comossa. Soprattutto dall’addio del compagno Ferruccio De Bortoli: ”Questa rimane la tua casa” mi ha detto. Perfino il capo del personale Roberto Lorenzi, celebre frigorifero, è stato diverso: ”La Sotis per noi è come l’argenteria di famiglia”. Però…
Però?
Quando l’ora scocca ti senti improvvisamente trasparente. Evaporata. Vai al giornale due ore al giorno, ma scopri che non sei più linasotis@corriere.it, ma diventi Carletto.Baroni@corriere.it. Perché il tuo ex compagno di banco ti presta il pc. I ritmi del vivere si dilatano. Finché decidi: beh, adesso ritorno io. Allora chiamo l’incubatore.
L’incubatore?
Sì, mio figlio Angelo che per me è un’incubatrice di idee. Due giorni con lui ed ecco nascere linasotis@tranquilla.it. Ti vuoi sposare senza l’abito nuziale con tette in vetrina come l’ultima sgallettata alla moda? Il marito settantenne è scappato col travestito di corso Sempione? Nente paura: da settembre c’è Tranquilla.it
Torniamo al ”Corriere”. Com’è cominciata?
Con Piero Ottone. Stavo a un cocktail vegetale della zarina democratica, cioè da Maria Giulia Crespi, e lui mi dice nasuto: ”Lina, il tuo Corriere d’informazione chiude: vai immediatamente da Franco Di Bella”. La mattina dopo mi infilo, con la faccia d’amianto che mi distingue, nell’ufficio di Franco, direttore del Corriere. Lui che era tosto come un toro mi lascia parlare e poi: ”Beh, potresti diventare la prima donna della cronaca”. Fu così che a quel piano aggiunsero un paio di bagni.
Perché?
Prima di me alla cronaca c’erano solo maschi e dunque solo latrine per uomini.
Anni fa hai detto che il ”Corriere” è stato l’unico vero traguardo.
Frase scema e volgare come la giovinezza. Il Corriere è stata la mia famiglia. Accogliente, indispensabile e velenosa. Come tutte le famiglie. Ma soprattutto è stato il mio orgoglio. Io, che da buona borghese coltivo una sublime tircheria, prendevo all’epoca un taxi al giorno solo per pronunciare la fatidica frase: ”Per favore buon uomo mi porti al Corriere”.
Dicono che il ”Corriere” ti ha aiutato a vincere la malattia.
Ti rispondo con Anna Maria Ortese: ”Non mi sono accorta di essere malata perché guardavo il cielo”. Certo, prima di essere operata, il Corriere era l’unico pensiero. Tanto che entrando in camera operatoria, dove dovevano aggiustarmi il cervello, ho detto a mio suocero Angelo Moratti: ”Papà, se mi operano non mi assumeranno più al Corriere”. E lui: ”Non ri preoccupare, tesoro, lo ricompriamo”.
Hai avuto nove direttori. Il preferito?
Chiedere a un giornalista qual è stato il suo direttore preferito è come chiedere a un marito quale donna ha amato di più. Davanti alla moglie però. Direi che Di Bella, forse quello meno accademico, è stato il direttore di rottura. Ha avuto un gran coraggio popolare. Fu lui, per primo, a pubblicare la lettera ”dell’anziano innamorato”. Il Corriere dimenticava la tradizione calvinista osando avvicinarsi al privato. Peggio: all’amore. Un putiferio. Tanto che per Natale lo stesso direttore mi chiese un’idea simile. Pronti via! Siccome io, come la collega Adriana Mulassano, avevo una vita sentimentale un po’ turbolenta, ecco in prima pagina una lettera aperta a quattro mani firmata ”L’altra”. Cioè l’Amante. Putiferio doppio. Soprattutto dalle rispettive mogliere che avevano riconosciuto il marito.
E Alberto Cavallari com’era?
Lui parlava in francese. Lo avrò visto due o tre volte al massimo. Aprivo la porta e… ”Ma chère madame…”. Nel suo abissale snobismo pensava con me di potersi concedere quel lusso. Era uomo bizzosissimo, ma gran cavallo di razza. Si portò dietro al Corriere il Conte, cioè Alessio Altichieri, il capocronista più chic d’Europa. Amico di Tony Blair. Battuto in eleganza solo da Ugo Stile: ”Misha” viveva all’hotel Manzoni. Quando tutti i maschi pataccari arrivavano in blu alle dieci di mattina, già pronti per l’uscita serale, lui esibiva giacche a quadri stropicciate. Era aereo e mondano come tutti gli intellettuali. Parlava solo di Furio, Indro e di Gioia… (Colombo, Montanelli, Marchi Falck, ndr). In compenso accanto a lui c’era l’unico condirettore capace di dire sì o no e basta: Giulio Anselmi.
Ma ci sarà stato uno dei nove che ti stava antipatico?
Non se ne parla. Andavo d’accordo perfino con Stefano Folli.
E la giornalista che volevi essere?
Miriam Mafai. Ho sempre desiderato essere chi non avrei mai potuto essere.
Hai dato soprannomi a tutti. Il tuo?
Ora, da pensionata, sono ”zia Lina”: Prima, prestante alquanto, avevo un nick name assolutamente politically incorrect: Ficotis. Me l’avevano dato i grafici. Io facevo finta di non saperlo. Loro facevano di tutto per farmelo sapere.
Montanelli diceva che per il ”Corriere” avrebbe lavorato gratis.
Il Corriere crea dipendenza. Chi c’è stato rimane stregato. Incollato. Chi se ne va, o viene mandato… fa in modo di tornare. Ci sono due razze di giornalisti: Quelli che stanno al Corsera e quelli che ci vorrebbero andare. Ricordo Ferruccio De Bortoli quando era andato all’Europeo. Ci davamo appuntamento al bar come due carbonari. ”Lina, quanto mi manca!” diceva come se parlasse di un’amante. Gaetanino Afeltra tutte le sere della vita è passato davanti al giornale per ”vederlo”.
E la famosa cronaca del ”Corriere”?
Ventisette giovanissimi scoppiettanti di idee e di ormoni e due vecchi odiosi: io e ”il Verbo”, ciop Claudio Schirinzi. Infine un capo: ”Segni particolari bellissimo”. Cioè Giancarlo Perego.
Per Mieli, l’addio più bello del ”Corriere”?
E chi poteva averlo, sennò? Sono una mielista. Paolo è un gatto soriano e sornione. Uno che sa prendere e lasciare. Che sa attaccare e che sa essere sconfitto. Un direttore che fa apparire magicamente i valori dei suoi. Anche se non ci sono. Il Silvan del giornalismo.
De Bortoli potrebbe prendersela…
Mai! Io e Ferruccio siamo cresciuti insieme in quelle stanze come due rami della stessa pianta. Il mio capo al Corriere d’informazione viene un giorno e mi dice: ”C’è uno nuovo: occupatene tu”. Mi giro e vedo un ragazzo col ciuffetto e gli occhi blu.
Secondo te il ”Corriere” segue troppo la politica del momento?
Il Corriere è lo specchio d’Italia. Si dice: adesso il tizio o il politico farà la sua scalata. Poi i tizi e i politici affondano. E lui rimane: immenso come il suo palazzo. Da più di cento anni.