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 2009  luglio 01 Mercoledì calendario

FIORI SUI TANK IRACHENI IL GIORNO DELL’ORGOGLIO


I soldati Usa via dalle città. Obama: «Data importante»

BAGDAD – I due subacquei del Tigri, in fondo alla colon­na, saranno gli ultimi a partire. Il Monumento al Milite Ignoto sembra un enorme disco volan­te. Nel giorno della «Sovranità Nazionale» l’inviato di guerra Michael Ware non ha l’accredi­to per la parata. capitato altre volte, niente paura. Si avvicina al generale Ali – servizi di si­curezza del premier – e cala il biglietto da visita lasciapassa­re: «Come on sir, Cnn ». Ieri avrebbe funzionato. Oggi no. La tribuna in cima al monu­mento, fatto costruire da Sad­dam Hussein, è gremita di di­gnitari dai baffi lucenti, amba­sciatori impazienti, fotografi e cameraman locali finalmente in grande spolvero. Giù alla ba­se, oltre alla Cnn, restano fuori anche il New York Times e un’altra tv Usa. Dopo i soldati, le star dei media. Allora è pro­prio vero: gli americani hanno perso il controllo di Bagdad.

Sull’anello d’asfalto sfilano i corazzati made in Usa. Alla gui­da, iracheni ben addestrati: i gipponi humvee bianchi e az­zurri, quelli scuri delle forze speciali, truppe in marcia, la banda, due elicotteri in cielo, due camion rossi dei vigili del fuoco (regalo del Giappone) in fondo un gommone e due su­bacquei del Tigri con muta ma­schera e boccaglio. Davanti, un paio di carri armati grossi, comprati dagli americani, ge­melli degli Abrams che un gior­no di aprile del 2003 occuparo­no il cuore di Bagdad. I tank del colonnello Perkins si piaz­zarono proprio in questa zona aperta, tra le Mani della Vitto­ria (l’arco delle spade) e l’hotel Rashid. Amir aveva 18 anni. I primi americani che vide lan­ciavano caramelle. «Il primo pensiero? Non farò più il servi­zio militare». E invece eccolo qui pronto a sfilare senza pub­blico, per le telecamere, nella cittadella fortificata (la Green Zone) dove si entra solo con un pass: «Fare il soldato è stata una mia scelta – dice Amir’ sono orgoglioso e non si gua­dagna male». Invece il premier Nouri Al Maliki nel suo discor­so dalla cima del Milite Ignoto non ha fatto neppure un cenno agli americani. Per Maliki la storia comincia oggi, dopo che «il governo ha saputo fermare la guerra settaria che minaccia­va l’unità e la sovranità del­­l’Iraq ». Il governo, non il «sur­ge » voluto da Bush.

Muto e defilato come un ospite minore, il generale Odierno ha ascoltato impassi­bile. Il comandante dei 131 mi­la militari Usa chiusi nelle basi di periferia sa che a Bagdad è il tempo dell’orgoglio. Ma anche delle prove: i comandi si aspet­tano un aumento della violen­za nel mese di luglio. «C’è anco­ra gente che vuole vedere la sconfitta del governo irache­no » ha detto più tardi in confe­renza stampa (lo stesso presi­dente Obama, pur definendo ieri il ritiro delle truppe ameri­cane un passo «importante» verso un Iraq stabile e sovra­no, ha previsto «giorni diffici­li »). Quanto alla riconoscenza, forse gli saranno bastate le pa­role del presidente della Re­pubblica Talebani che in un messaggio alla nazione ha ringraziato le forze multi­nazionali «senza le qua­li questo giorno non sa­rebbe arrivato». Maliki non ne parla. Non ne parlano gli iracheni. «Bella gratitudi­ne »: il californiano SeeJay, ad­destratori di cani anti-bomba, impreca. «Sai chi sono i militi del tutto ignoti agli iracheni? I 4mila nostri ragazzi che ci han­no lasciato la pelle».

Gli ultimi quattro sono mor­ti lunedì, in un’imboscata du­rante l’ultimo giro di pattuglia. Sollievo da entrambe le parti: nei centri urbani, da Mosul a Bassora, gli americani tor­neranno solo su richie­sta del governo.

Ieri per le strade di Bagdad c’erano mezzi corazzati e fioriti. Mez­zi iracheni. Ghirlande sulle auto della poli­zia, palloncini sulle mitragliatrici. In un mercato di Yar­mouk una donna ha raccontato lo spaven­to di vedersi dietro l’angolo i carri armati: «Un’altra invasione?». Poca gente in giro, per paura di attentati. La festa s’è concen­trata (dietro ai checkpoint) al parco di Zahwra. La notte di lu­nedì fuochi artificiali e canzo­ni: «L’America se ne va, Ba­gdad vittoriosa». Ieri pomerig­gio musica e danze sotto una leggera tempesta di sabbia, protagonisti soprattutto giova­ni. Popstar fuggite all’estero, da Salah Hassan a Kassem Sul­tan, sono tornate per esibirsi. Sotto i poster con la scritta: «Nel giorno della sovranità, ac­cendiamo candele per il nostro futuro». Al mercato di Kirkuk, verso sera, qualcuno ha acceso una bomba tra la gente che comprava da mangiare. Sono morti in 25.

Il premier Al Maliki: «Il governo ha saputo fermare la guerra settaria che minacciava l’unità del Paese»