1 luglio 2009
MONETA GLOBALE? INTANTO LA CINA COMPRA DOLLARI
La Cina e gli altri Bric (Brasile, Russia, India) vorrebbero un sistema monetario internazionale meno dipendente dal dollaro. Curiosamente, il comunicato finale dopo il loro incontro di Ekaterinburg di due settimane fa era vago su quali potessero essere le alternative. Più dei pronunciamenti dei summit, che inevitabilmente hanno una componente politica, è utile seguire il recente comportamento delle autorità cinesi, che in questa vicenda sono quelle che contano veramente, essendo sedute su riserve ufficiali pari a 2mila miliardi di dollari. A ogni dichiarazione di voler diversificare dal dollaro, ne hanno fatto subito seguire una di segno almeno parzialmente contrario. Questa settimana hanno fatto sapere che la politica delle riserve resta «sempre piuttosto stabile».
Pechino ha un’ambizione e un interesse comprensibile di diversificazione nel lungo periodo, ma nel breve-medio termine deve tener conto di due motivazioni di senso opposto e quindi cercare di evitare una svalutazione precipitosa della moneta Usa: tutelare il valore dei propri ingenti investimenti in dollari e salvaguardare, attraverso il cambio, la competitività del proprio export. Non a caso, gli acquisti di dollari da parte delle banche centrali (quella cinese e degli altri paesi emergenti) si intensificano quando il dollaro flette. I titoli del debito pubblico Usa detenuti dalla Banca centrale cinese, che oggi è il primo creditore ufficiale degli Stati Uniti, sono aumentati di 174 miliardi di dollari da quando il governatore Zhou Xiaochuan, nel marzo scorso, alla vigilia del G-20 di Londra, sollevò per la prima volta con forza la questione della diversificazione delle riserve.
Proprio per questo conflitto fra gli interessi della Cina sui diversi orizzonti temporali, è bene quindi osservare soprattutto quello che Pechino fa, anche se quello che dice ha un importante valore segnaletico. Da un lato, la Cina non ha certo smesso, come abbiamo visto, di comprare dollari, anzi. Dall’altro, sta continuando una sua politica di diversificazione ai margini. Ma il destinatario di questa strategia non sono tanto le altre valute: la quota del biglietto verde sulle riserve ufficiali globali è variata di poco negli ultimi anni, oscillando fra il 66 e il 61%, e si trova ora più o meno a metà di questo ristretto range. L’euro non è per ora emerso come vera alternativa, mentre i discorsi sui diritti speciali di prelievo sono poco praticabili e quelli sulla moneta mondiale hanno un orizzonte molto di là da venire.
Pechino sta invece battendo altre strade: anzi tutto, l’oro, la cui presenza nelle riserve ufficiali è aumentata del 75% dal 2003 e di cui le autorità cinesi hanno ammesso di aver acquistato negli ultimi anni 450 tonnellate. Ma anche le altre materie prime, a scopo non solo di approvvigionamento per la loro economia. Infine l’acquisto all’estero (Africa e America Latina soprattutto) di miniere, terreni agricoli, società produttrici di risorse.
Ma non sarà da Pechino che verrà il segnale per la fuga dal dollaro.