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 2009  luglio 01 Mercoledì calendario

QUANDO SCRIVEVO COME AMADO


Il racconto di Andrea Camilleri "La tripla vita di Michele Sparacino" è seguito da una conversazione - di cui pubblichiamo una parte - tra il creatore del commissario Montalbano e lo scrittore e sceneggiatore siciliano Francesco Piccolo.
PICCOLO Questo è un racconto preso da una serie di storie che lei scrive per "divertimento personale".
CAMILLERI Sì, non hanno una destinazione editoriale, né la vogliono avere. Guarda, anche se non pare, sono un uomo estremamente ordinato, mentalmente. Non so se se l´hai notato, ma tutti i romanzi di Montalbano si compongono di 180 pagine conteggiate sul mio computer, divise in 18 capitoli di 10 pagine ciascuno. Se il romanzo viene fuori con una pagina in più o in meno, io riscrivo il romanzo, perché vuol dire che c´è qualcosa che non funziona.
PICCOLO Perché invece Montalbano funziona così, in 180 pagine?
CAMILLERI Perché secondo me così, in 180 pagine esatte, funziona. Quindi io prima di scrivere ho bisogno di fare il lucido, come fanno i geometri, cioè a dire: qual è il respiro di questo romanzo che ho in testa? I vuoti, i pieni, dove c´è la finestra, dove c´è il giardino. Ho bisogno di organizzarmi questo schema, e fino a quando non organizzo questo schema sono incapace di scrivere. Anche se il romanzo, in un altro ordine di successione, ce l´ho tutto in testa. Quando finalmente ho questo lucido davanti a me, allora comincio.
PICCOLO Anche Simenon era un geometra. Anche lui era maniaco della preparazione.
CAMILLERI Quindi vuol dire che non sono solo delle mie manie, questo mi consola. Come mi consolò una volta una storia che coinvolse Leonardo Sciascia. Mi chiamò e mi chiese: «Andre´, ce l´hai un racconto?». Aveva fatto con Guglielmino un´antologia di scrittori siciliani, e stavano pensando a una seconda edizione - io avevo già pubblicato due romanzi: Il corso delle cose e Un filo di fumo. Disse che però voleva un racconto, non voleva pubblicare brani di romanzo. In quel periodo avevo scritto tre racconti, Montalbano era lontanissimo, quindi non erano polizieschi. Gli dissi: «Te li lascio in albergo tutti e tre, scegli tu quello che vuoi». Poi mi telefonò dicendo: «Mi piace Capitan Caci, non lo dare a nessuno perché te lo pubblico nell´antologia». Dopo circa una quindicina di giorni mi telefona un carissimo amico e mi chiede: «Hai letto l´ultimo libro di Jorge Amado, Due storie del porto di Bahia?». «No, non l´ho letto. « «Te lo presto io» mi dice. «E no» rispondo, «Amado me lo compro subito». E vado a comprarlo. Sono due racconti. Comincio a leggere il primo e mi sento davvero male. Perché due episodi, e di difficile invenzione, erano lì. Erano in quel racconto. Ci resto veramente. Ti descrivo solo un episodio: Capitan Caci, doppiato Capo Horn, fa naufragio e si trova su una zattera con un negro gigantesco. Hanno pochissimi viveri, possono assicurare la sopravvivenza di una sola persona e allora se la giocano a tressette e briscola. Vince Capitan Caci e il negro si deve buttare a mare. Ora, una storia del genere è difficile che due se la ritrovino uguale. Mia moglie dice: «Sarà una storia marinara, capace che l´avete sentita tutti e due nell´infanzia e fa parte di un corredo che vi siete poi dimenticati». Comunque, io telefono subito a Leonardo Sciascia e gli dico: «Ridammi il racconto, non lo pubblicare, perché chi glielo leva poi dalla testa alla gente che ho plagiato Jorge Amado?».
PICCOLO Però, d´altra parte era anche una consolazione, la conferma di avere la capacità di raccontare...
CAMILLERI Questo senz´altro. E pensa che con Amado mi è successo ben tre volte - ma una di queste tre me ne sono fottuto, ho detto: «Io pubblico lo stesso, chi se ne frega e buonasera!». E poi, senti: dopo anni viene pubblicata un´antologia di racconti fantastici italiani dell´Ottocento e del Novecento. Questa antologia viene recensita da Italo Calvino su Repubblica - è uno dei suoi ultimi scritti. Tra gli altri Calvino parla di un racconto di Beniamino Joppolo, che si intitola Lo zio, che lo ha particolarmente colpito. Racconta di una coppietta giovane, nella quale c´è il ragazzo che dice sempre alla ragazza: «Ieri sera mio zio è stato geniale» e narra battute, aneddoti, cose meravigliose... La ragazza naturalmente si incuriosisce e dice: «Ma fammelo conoscere tuo zio!». Su questa richiesta il ragazzo fa calare sempre il silenzio. Poi, una volta, il ragazzo deve andare fuori per lavoro e, lascia fare alle donne, la ragazza si procura in un attimo l´indirizzo dello zio. E ci va. Bussa alla porta. Sente una voce che risponde: «Avanti!». Entra e si trova in una foresta tropicale, e appeso a un albero c´è uno scimmione che le dice: «Tu devi essere la fidanzata di mio nipote».
«Qual è la questione?» dice Calvino. «La questione è che nel mio cassetto ho un racconto identico. L´unica variante è che lo zio non è uno scimmione, ma un delfino. La ragazza entra a casa dello zio e si trova davanti una enorme piscina, il delfino le dice: "Tu devi essere la fidanzata di mio nipote"». Come si spiega questa cosa? Né Calvino lo ha copiato a Joppolo, né il contrario. Forse, sostiene Calvino, i racconti sono idee archetipali - come una biblioteca lì pronta. Uno va e si prende una storia. Poi capace che arriva un altro e si prende la stessa storia per sé.
PICCOLO Con tutte le varianti...
CAMILLERI Con le varianti, certo, ma i racconti sono quelli.