Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 1/7/2009, 1 luglio 2009
ADDIO AL PICASSO DELLA DANZA INCANTO’ FELLINI E ALMODOVAR
Scompare per una malattia fulminante l´artista tedesca che ha sovvertito le regole del balletto. Portò sulla scena i tic e i piccoli gesti quotidiani. Acclamata in Italia, dedicò spettacoli memorabili a Palermo e Roma
Aveva 68 anni. Nella sua carriera aveva ricevuto premi in tutto il mondo. Era attesa a Spoleto
morta la coreografa tedesca Pina Bausch. Senza preavviso: sparita come in un soffio. D´altra parte quel suo corpo fluido e sottilissimo, da regina esangue o da «fondatrice di un ordine religioso» come disse Fellini (che però aggiungeva: « una monaca che all´improvviso ti strizza l´occhio»), dava il senso di una somma evanescenza. Si consumava col lavoro e non ha mai smesso: per lei il teatro era una possessione che non dava tregua. Il suo ultimo spettacolo aveva debuttato il 12 giugno a Wuppertal, la plumbea cittadina della Ruhr che ospitava la sua formidabile troupe di danzatori-attori, il Tanztheater Wuppertal; e in questi giorni era attesa a Spoleto con Bamboo Blues, che approderà sabato al festival in un clima ben diverso da quello che avrebbe dovuto accoglierla. La agenzie di stampa parlano di un tumore diagnosticato solo cinque giorni fa. Chissà se invece Pina sapeva del suo male. Forse sapeva e ha preferito andare avanti, bruciandosi in quella vocazione che era per lei causa e motore di tutto. Non era fatta per i dottori e gli ospedali.
Nata a Solingen, in Germania, il 27 luglio del 1940, Pina Bausch è la coreografa che ha reinventato la danza. Ci sono artisti che hanno plasmato opere splendide senza modificare la direzione del loro linguaggio; altri hanno saputo imprimergli un corso inedito, determinando un "prima" e un "dopo": Wagner in musica, Picasso nella pittura, Joyce in letteratura. Imprescindibili campioni che hanno aperto varchi per introdurci in paesaggi ignoti. Dando vita al suo inimitabile modo di "racconto" dell´esistenza umana, a quell´universo onirico eppure realistico, riconoscibile ma misterioso nel suo toccarci corde profonde del "non-detto", ricco di ombrosi addensamenti ma anche lieve nello humour, Pina Bausch, ancor più che coreografa e regista, è stata autrice di un continente a parte, poetessa nell´ambivalenza, nell´allusione comica o sofferta, nella volubilità dei significati. Il tutto inscritto attorno al perno di una danza lontana da ogni tecnica e stile preesistente, nata dal respiro delle emozioni e dalla forza dei gesti quotidiani, che restituiva confini inestinguibili all´area di legittimazione teatrale del corpo, sovvertendo ogni retorica e ideologia sul "corpo ideale". Di questa sua rivoluzione che ha investito canoni estetici, barriere di genere (tra teatro e danza), tempi drammatici, concezione scenografica e di drammaturgia musicale, s´è nutrita tutta la nuova scena: non solo coreografi ma registi teatrali e di lirica, avanguardisti e cineasti, da Federico Fellini, suo estimatore e amico, che disegnò per lei una parte di E la nave va (Bausch vi interpretava il ruolo della granduchessa cieca), a Pedro Almodovar, che le rese omaggio in Parla con lei.
Figlia del dopoguerra e della rinascita sulle rovine del nazismo, Philippina Bausch si forma a Essen con Kurt Jooss, capofila della danza espressionista, prima di trasferirsi a New York, dove danza con coreografi quali Antony Tudor e Paul Taylor. Rientrata in Germania fonda il Tanztheater Wuppertal nei primi anni Settanta, e alle Tanzoper ispirate dall´amato Gluck, segue una versione rude e musicalissima, ferocemente rituale e innovativa dello stravinskiano Sacre du Printemps. Con Café Müller, su musiche di Purcell e pochi interpreti asserragliati in una selva dantesca di tavolini e sedie, va in scena il manifesto folgorante e nitido del suo Tanztheater.
Svettano tra i suoi capolavori le donne metaforicamente fatte a pezzi di Blaubart, gli attori immersi nell´autentica piscina di Arien, lo struggimento e gli abbracci nella sala da ballo anni Cinquanta di Kontankthof, le divinazioni sul ricordo, l´infanzia e la morte di 1980, i labirinti di tanghi mai ballati di Bandoneon, i travestitismi ludici tra i garofani di Nelken, e ancora tanto e tanto, come i due spettacoli montati a Roma, Viktor e O Dido, e lo straordinario Palermo Palermo, coprodotto dal capoluogo siciliano. Spesso le prove avvengono in giro per il mondo: il Tanztheater Wuppertal si sposta, viaggia, opta per una città in seguito a un´occasione produttiva. Debuttano i pezzi su Madrid, Vienna, Hong Kong, Lisbona, Budapest, il Giappone, la Corea, il Brasile, l´India, il Cile... Affreschi di una danza affidata a corpi che smascherano piccole e grandi ossessioni affettive e gestuali, perversioni che svelano la nostra fame d´amore, impulsi individuali stretti nelle maglie del vivere comune. E dentro preme forte il senso della storia. In Palermo Palermo un muro di mattoni chiude l´intero boccascena e crolla a vista a inizio spettacolo: il Muro di Berlino cade non molto tempo dopo.
Da ribelle iconoclasta Pina Bausch diventa una sacerdotessa consacrata da lauree honoris causa (anche dall´Università di Bologna), riconosciuta da premi (tra cui il Leone d´Oro della Biennale Danza), invitata in tutto il mondo e ogni anno a Parigi, di cui è ospite fissa per una saison annuale al Théâtre de la Ville. Oltre che con Roma e Palermo, in Italia ebbe un rapporto intenso con Venezia, dove la Biennale e la Fenice le dedicarono un festival antologico nell´85.