Marc Santora, la Repubblica 1/7/2009, 1 luglio 2009
ULTIMA NOTTE A FORT ALAMO LA BASE PASSA AGLI IRACHENI
Quando oltre due anni fa gli americani aprirono una loro base nel quartiere di Ghazaliya, a Bagdad, il primo pattugliamento a piedi durò 20 minuti: furono colpiti dai cecchini tre volte, e ispezionarono solo quattro isolati. Alla loro base diedero il nome di "Alamo". Oggi, mentre i soldati americani si ritirano, la base cambia: ribattezzata "Casino" entrerà a far parte della guarnigione della Polizia Nazionale irachena, mentre altre tre basi nel quartiere sono state smantellate o consegnate alle forze di sicurezza irachene.
Effettivamente, ora che gli attentati sono scesi a percentuali minime rispetto al passato, c´è ben poco che le centinaia di soldati dell´ultimo contingente americano possano fare qui a Bagdad. Quando a metà giugno il tenente Brandon Stevenson, 25 anni, fece uno dei rari pattugliamenti congiunti con l´esercito iracheno, l´unica sorpresa in circa tre ore è stata osservare un soldato iracheno trasportare un lanciagranate a spalla «per fare scena».
In questo quartiere occidentale della periferia di Bagdad, è possibile toccare con mano i successi sul terreno: rispetto a due anni fa, prima che arrivassero i contingenti "di rinforzo", la situazione è nettamente migliorata. Gli attentati a Ghazaliya sono al minimo storico da quando gli americani hanno iniziato a reprimere gli episodi di violenza in città e nell´ultimo mese si sono assestati su una media di 1,77 al giorno, rispetto ai 6-7 di ottobre. Le scuole sono state riaperte, compresa quella dove un´insegnante era stata appesa al soffitto per i piedi prima che gli estremisti le mutilassero il volto. Per la prima volta le arterie principali della capitale tornano a illuminarsi e le strade dove un tempo scorrevano fogne a cielo aperto oggi sono semplicemente piene di buche e costellate di cumuli di spazzatura.
E però, dietro la calma apparente, restano le tensioni tra le varie fazioni che hanno portato alla guerra civile. Poche famiglie di sfollati sono tornate a occupare le loro abitazioni: gli sciiti vivono nella parte settentrionale di Bagdad e i sunniti in quella meridionale. La sicurezza è equamente distribuita: nell´area sciita c´è la Polizia Nazionale, in quella sunnita l´esercito iracheno. «Per il momento ci troviamo sul filo del rasoio» commenta Hamid Majeed, sunnita, vicino alle macerie di una moschea sciita fatta saltare in aria nel 2006. «Non ci piacciono gli americani, ma ringraziamo Dio quando li vediamo girare insieme ai soldati iracheni, perché sappiamo che possiamo fidarci più di loro che delle forze governative».
Rancori, risentimenti e paure si avvertono nell´aria e si percepiscono parlando con ufficiali, cittadini ed ex combattenti di entrambi i fronti delle opposte fazioni. E contribuiscono a spiegare perché l´incerta pace tuttora dipenda in buona parte dalle dimostrazioni di forza: a oggi si conta un agente della sicurezza irachena ogni quattro cittadini. Citando alcuni rapporti d´intelligence, il sergente maggiore Nasar Jubeir Mutar della Polizia Nazionale dice che «ci sono alcuni gruppi armati che non vedono l´ora che gli americani si ritirino».
Bagdad, insomma, resta una città-fortezza e nel solo quartiere di Gahazaliya il numero delle persone che lavorano per le forze di sicurezza è strabiliante: oltre 500 soldati dell´esercito regolare, 700 agenti della Polizia Nazionale e 400 membri del Sunni Awakening, un gruppo che si è alleato con gli americani per contribuire a ripristinare l´ordine in Iraq, oltre, naturalmente, a svariate centinaia di agenti della polizia irachena regolare, della polizia segreta e dei vigili armati addetti al traffico. Non si con certezza quanti siano gli abitanti di questo quartiere, ma alcune stime prudenziali parlano di circa 130.000 residenti. Ogni cinque case una in media è abbandonata.
Quando gli americani aprirono qui la loro base, si trovarono di fronte al cadavere di una donna appesa per i piedi, un´insegnante stuprata, assassinata e mutilata prima di essere esposta come monito per il resto della popolazione. «Era un´insegnante inglese e al-Qaeda pensò che potesse essere una spia americana, così volle servirsene per ammonire l´intera cittadinanza» spiega Aham, giovane ribelle sunnita. E benché i cittadini sunniti fossero sempre più preoccupati per le azioni brutali messe in atto dai ribelli, nessuno osò chiedere protezione alle forze di sicurezza irachene, considerate una specie di longa manu delle milizie sciite. Così, dopo aver aperto le loro basi nel gennaio 2007, gli americani hanno iniziato a convincere molti iracheni sunniti della zona a collaborare con loro, nell´ambito del gruppo Sunni Awakening.
Negli ultimi due anni, gli americani hanno rafforzato quei primi contatti e hanno allacciato rapporti con molti giovani del quartiere, sia sciiti che sunniti. Affidare alle forze irachene queste preziose fonti di informazioni è ora una delle sfide più ardue per il capitano Matthew Todd. Gli americani poco alla volta stanno mettendo in contatto gli iracheni con i loro informatori. La sfida è impegnativa, perché il governo sciita crede che molte delle milizie sunnite siano poco più che semplici coperture per i guerriglieri. «Non voglio che nessuno di quegli informatori sia assegnato a me» dice il capitano Ishan Falah Hassan della Polizia Nazionale: «Dal mio punto di vista - e non è quello del governo - molti di loro dovrebbero semplicemente essere arrestati».
(Ha collaborato Duraid Adnan. Copyright 2009 New York Times News Service-La Repubblica. Traduzione di Anna Bissanti)