Paolo Terni, Il Riformista, 1/7/2009, 1 luglio 2009
Sciascia, che musica Un professionista della lingua scritta- Era il mio primo viaggio in Italia. Proveniente da Alessandria, la motonave Esperia aveva già costeggiato Creta
Sciascia, che musica Un professionista della lingua scritta- Era il mio primo viaggio in Italia. Proveniente da Alessandria, la motonave Esperia aveva già costeggiato Creta. Sapevo di un prossimo scalo a Siracusa quando, all’orizzonte, apparve il profilo dell’Etna e, man mano, una grandiosa realtà rocciosa, azzurrina, a determinare il successivo precisarsi dei dettagli del paesaggio. Ai piedi della scaletta una guida turistica si mise a parlare una lingua inesistente: presumo il francese sulla cui ombra si era innestata una geniale invenzione sonora completamente astratta, pur se a suo modo funzionale - e non era affatto un gramelot improvvisato lì per lì (semmai una sorta di esperanto). Inventare addirittura una lingua? E con vera ironia, senza alcun ammicco da comico di avanspettacolo? Da alessandrino, comunque immerso nel bagno di infinite correnti linguistiche, ne fui immediatamente conquistato, al punto da sentirsi definire in me una grande curiosità, una forte determinazione a tornare al più presto in Sicilia… E, mentre riprendo in mano le opere di Leonardo Sciascia, a vent’anni dalla sua scomparsa, ricordo - attraverso la sua scrittura - questo mio primo contatto con la Sicilia e ascolto quel suo italiano letterario intriso di musica, impastato di alta ironia, lavorato con tale perizia da riuscire sempre a catturare la forma del significato. Provo poi tanta nostalgia di quella "portentosa équipe" di scrittori che, assieme a lui, ha abbandonato la scena, quasi per un tacito accordo, nello stesso giro di anni… Eravamo amici: con alcuni di essi lavoravo in casa editrice Einaudi e, pur nell’ovvia diversità dello sguardo, aleggiava una comune visione della letteratura. Visione ormai lontana, sbocconcellata… Erano tanti Achabletterari all’inseguimento di una lingua che, come balena bianca, nuotava nel grande oceano della musica… La musica trasmigrava allora - sotto mentite spoglie - dal suo ambito tradizionale a quello della scrittura letteraria. Direi anzi - e non sembri un paradosso! - che vi è quasi altrettanta musica in Calvino, Primo Levi, Sciascia, Carmelo Samonà, Manganelli o la Ginzburg di quanta ne producessero i compositori italiani coevi. A loro volta, questi riuscivano a creare composizioni musicali significative solo con uno sguardo parallelo e partecipe verso la letteratura: basti riflettere ai casi esemplari di Giorgio Federico Ghedini, Luigi Nono, Bruno Maderna o Luciano Berio… Ho potuto interrogare molti scrittori su questi argomenti. In Giorgio Manganelli - «ascoltatore maniacale» come l’ho definito pubblicando il testo di una sua splendida intervista radiofonica ho percepito un pensiero a tutto tondo, quasi profetico, intorno alla doppia osmosi musicale e letteraria. In molti altri casi, invece, trasparivano pudore e cautela, come di chi tema venga divulgato un segreto celato, ancora privato, non ancora brevettato… Leonardo Sciascia era talmente padrone della questione, sin dall’incipit del suo primo romanzo, da non porsi, lui, alcun problema in proposito, essendogli spontanea, naturale, una scrittura letteraria intelligentemente condotta in modo di una musica. Primo sintomo di questa invisibile presenza è dato dalla questione della forma: da sempre e ovunque al centro di ogni pensiero musicale. A un certo punto - drammaticamente cruciale - della Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., Sciascia (in veste forse di quel curioso Giuseppe Xiaxia citato nell’Appendice?) fa dire al personaggio del Vescovo che aveva appena offerto una cioccolata al Sergente: «Stavate per dire: eccellente, eccellenza; ma vi siete corretto. Mi fa piacere che teniate alla forma nell’esprimervi. Ci tengo anch’io, moltissimo. La forma è sostanza, secondo me. Penso che siate dello stesso avviso. Se voi aveste detto: eccellente, eccellenza, vi confesso che ora vi guarderei con un certo sospetto. Uno che dice: eccellente, eccellenza, può anche essere capace di assassinare suo padre… Esagero, naturalmente… Ma la forma è tutto, davvero…». In questo caso - oltre a prendere posizione sulla questione della forma - Sciascia pratica un gioco tipicamente musicale fondato sui principi di assonanza, iterazione e variazione. L’incipit del suo primo racconto pubblicato - Gli zii di Sicilia - è un vero e proprio esercizio di composizione musicale: «Filippo fischiò dalla strada alle tre del pomeriggio. Mi affacciai alla finestra. Gridò - arrivano - . Di corsa infilai le scale, mia madre mi gridò dietro qualcosa». Qualche spunto tecnico? La prima nota è la «Fi» di «Filippo»: l’eco si avrà in «Fischiò» e, poco dopo, in «finestra» non senza la precedente modulazione di «affacciai» e la successiva «infilai» ove è palese la rima in «ai». La «o» finale di «Filippo» si ripresenterà - ma accentata - nel successivo «Fischiò» che, come cadenza, sarà riproposta due volte con la ripetizione di «Gridò». Sul piano dei timbri vengono usati i seguenti tre diversi registri: il fischio di Filippo, il grido di Filippo sulla parola «arrivano», il grido della madre. Questi suoni sono accuratamente disposti nello spazio: il fischio e il grido di Filippo «dalla strada» sottostante la finestra; il grido della madre «da dietro», ma nella casa. Il ritmo, poi, è precisissimo: «Filippo fischiò… Mi affacciai… Gridò… Di corsa infilai…, mia madre mi gridò dietro qualcosa…» A uno dei suoi personaggi Leonardo Sciascia assegna la battuta: «Parlava come la Corte di Cassazione a Sezioni riunite». Il potersi esprimere con tanta lapidaria compiutezza ed efficacia, con implacabile sense of humour (non solo «come la Corte di Cassazione» ma «a Sezioni riunite»!) è segno certo di quel dominio della lingua che ogni scrittore deve saper praticare, misurandone la portata sul proprio sguardo - pur, nel nostro caso, sul basso continuo delle intonazioni, dei tempi e degli accenti propri del parlato locale - onde amministrare al meglio la propria unica, infungibile, identità. Così Leonardo Sciascia, in tutte le sue opere, piega la lingua italiana, la rimodella e la plasma in una rincorsa espressiva e significante alimentata dall’invisibile respiro di forme musicali, armonicamente congiunte ai canoni riconoscibili della stessa scrittura letteraria: la risonanza, per esempio, e anche il principio detto dai musicisti della klangfarbenmelodie, ossia della melodia fondata sui colori, su rapporti esclusivamente timbrici, così come l’aveva formulata Arnold Schönberg. Copyright: © 2009 Paolo Terni. Il testo sarà letto oggi alla Milanesiana - Letteratura Musica Cinema. Ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Promossa dalla Provincia di Milano, con il Comune di Milano. Con la collaborazione della Regione Lombardia.