Luciano Gallino, la Repubblica 1/7/2009, 1 luglio 2009
LE CURVE DIFFICILI DELL’INDUSTRIA DELL’AUTO
Sulla strada dell´industria mondiale dell´auto si approssimano curve difficili. Nella corsa spasmodica con gli altri produttori, il destino di Fiat si gioca sia sul modo in cui essa si muoverà per affrontarle, sia sulle politiche pubbliche che verranno adottate o no per sostenere un´industria che dà lavoro a quattro o cinque persone per ogni addetto alla costruzione finale di una vettura.
Una prima curva è già ben visibile. Si chiama eccesso di capacità produttiva globale, e prolungato calo della domanda di auto sui maggiori mercati, gli Usa e la Ue. Ben prima che esplodesse la crisi in atto, era noto che l´industria denunciava un eccesso di capacità del 30 per cento. Lo stesso ad Fiat, Marchionne, durante le trattative per acquisire la Opel dichiarò che sarebbe stato comunque necessario ridurre la taglia degli impianti europei dei due marchi di oltre il 20 per cento. Da parte sua la Gm ha annunciato giorni fa, durante le trattative per il fallimento controllato, che chiuderà 13 siti produttivi entro il 2010 e ridurrà di 20.000 unità i dipendenti diretti – un quarto del totale 2008.
Le prospettive di vendita sono anche più scure. In Usa nel 2008 si sono vendute 13,1 milioni di auto, 4 in meno rispetto al picco di 17 milioni registrato nel 2000. Sebbene vi siano notevoli divergenze nelle previsioni degli istituti specializzati, esse convergono intorno a una media di 10-11 milioni di vendite dal 2009 al 2013, e una lenta quanto dubbia risalita negli anni successivi. Riguardo alla Ue a 27, in essa si sono vendute 16 milioni di auto nel 2007, scese a 14,7 nel 2008, mentre per il 2009 l´Associazione dei costruttori europei (Acea) prevede che si arriverà forse a 11 milioni. In effetti il primo trimestre ha visto, grazie agli incentivi governativi, aumenti delle vendite consistenti in Germania, tangibili in Francia e minimi in Italia; però grandi mercati come lo spagnolo e il britannico han fatto registrare, su base annua, cadute del 45 e del 24 per cento, e addirittura dell´80 per cento in vari paesi dell´Est che vanno dalla Romania all´Estonia. Sempre l´Acea prevede che le vendite di auto nella Ue si avvicineranno nuovamente ai livelli 2007 tra il 2013 e il 2015.
In complesso le cifre suddette significano che arrivare a produrre stabilmente – e a vendere – 6 milioni di auto nelle condizioni dell´autoindustria mondiale del 2007 era per Fiat fin dall´inizio un obbiettivo assai ambizioso; nelle condizioni che molto probabilmente prevarranno da qui al 2015, con una drastica contrazione dei due maggiori mercati mondiali e correlativo aumento della competizione, il medesimo obbiettivo appare nulla meno che titanico.
Sulla stessa strada che l´autoindustria mondiale e Fiat con essa sta percorrendo c´è poi un´altra curva ostica: quella dell´innovazione all´insegna dell´auto ecologicamente sostenibile. A leggere le pagine motoristiche dei quotidiani, o i settimanali del ramo (in verità con qualche eccezione), sembra che l´auto ibrida a portata di tutti sia per domani, mentre per dopodomani è previsto l´arrivo dei motori alimentati da una cella a idrogeno. In realtà l´auto ibrida rimane, per ora, un prodotto capace di attrarre sui principali mercati alcune decine di migliaia di acquirenti l´anno. E non solo per il suo costo. Affinché gli acquirenti diventino milioni bisognerebbe dotarla di batterie che pesino un quarto o meno rispetto ai 20-30 chili l´una di quelle attuali; siano ricaricabili in pochi minuti invece che in diverse ore; permettano di fare centinaia di chilometri senza ricarica in luogo di cinquanta, pur assicurando per tutto il percorso prestazioni paragonabili ai motori a combustione. Non è un progetto impossibile da realizzare. Basterebbe investire in ricerca e sviluppo svariati miliardi di euro. Più altri miliardi per costruire griglie capillari di distribuzione di energia elettrica aventi alta capacità di erogazione per la ricarica delle batterie, di modo che essa diventi altrettanto rapida e agevole della usuale sosta alla stazione di servizio. Quanto all´idrogeno, gli investimenti sarebbero presumilmente ancora più elevati.
E´ evidente che né la Fiat attuale né quella accresciuta che speriamo di vedere, e nemmeno alcun gruppo automotoristico mondiale è in grado di fare simili investimenti in ricerca e sviluppo. E´ necessario l´intervento della mano pubblica. Di fatto essa ha finora ignorato il problema, anche in Usa. I governi americani hanno investito trilioni di dollari in ogni settore immaginabile, da Internet all´aerospaziale e al Gps, ma gli investimenti in R&S per far diventare attraente e accessibile l´auto ibrida o magari totalmente elettrica sono stati trascurabili. Occorre un partenariato tra pubblico e privato per far decollare rapidamente questa tecnologia, come proponeva pochi mesi fa il «Scientific American». Che aveva in mente com´è ovvio i costruttori americani. Per l´autoindustria europea, dovrebbe essere la Ue a farsi carico di organizzare un simile partenariato. Al riguardo occorrerebbe che il solo ente che opera di fatto come un governo centrale, la Commissione Europea, si destasse dal letargo in cui pare immersa dinanzi al serissimo problema di una riorganizzazione complessiva dell´autoindustria del continente. Che non è fatta soltanto di alcune decine di stabilimenti con un marchio sul frontale, ma di decine di migliaia d´imprese piccole e medie che fabbricano tre quarti dei componenti che in quegli stabilimenti diventano auto finite.
Proseguendo sulla stessa strada c´è poi la curva più difficile per l´autoindustria. Quella che si identifica col fatto che mentre l´automobile rimarrà insostituibile per i viaggi turistici, le vacanze, lo svago settimanale o serale, come mezzo di trasporto collettivo per andare e tornare dai luoghi di lavoro essa appare ormai clamorosamente irrazionale. L´auto di domani potrebbe magari essere a rumore e inquinamento zero. Resta l´insensatezza economica ed ecologica di un mezzo che pesa una tonnellata, occupa otto-dieci metri quadrati di spazio, e viene usato per trasportare per poche decine di chilometri al giorno (nelle nostre città meno di dieci) un singolo passeggero che pesa in media 60 chili e occupa mezzo metro quadrato. Ma il fattore critico che occorre valutare è sia l´elevatissimo consumo di suoli che il trasporto quotidiano di milioni di persone in singole auto comporta, sia lo stravolgimento della struttura urbanistica delle città che ne deriva. Da questa curva l´autoindustria potrebbe anche uscirne bene, ma ne uscirebbe assai male il pianeta, specie se Cina e India arrivassero a una densità di vetture per abitante simile a quella occidentale. La soluzione starebbe nel convertire l´autoindustria in un´industria del trasporto globale di massa, che produce accanto a un numero minore di auto una quota crescente di treni (che la Fiat già produceva, prima di cedere, in una passata gestione, la divisione ferroviaria al suo maggior concorrente), autobus e metropolitane di varie dimensioni. Grandi centri di ricerca come il Mit si stanno già occupando della sfida dei sistemi di trasporto globali. Ma dovrebbero essere gli stati ad affrontare insieme con l´autoindustria una trasformazione produttiva, ecologica, territoriale, sociale di portata planetaria, forse la maggiore del XXI secolo.