ANTONELLA MARIOTTI, La Stampa, 1/7/2009, 1 luglio 2009
”Scimmie brillanti e topi furbi” - Quando Alex è morto, ne ha dato notizia anche il «New York Times»
”Scimmie brillanti e topi furbi” - Quando Alex è morto, ne ha dato notizia anche il «New York Times». Ma Alex non era un Premio Nobel. Parlava con un vocabolario di 100 parole, distingueva i colori e capiva perfino l’idea di zero, eppure pesava non più di due etti. Era un pappagallo. Ogni sera salutava la ricercatrice che lo accudiva con queste parole: «Fai la brava, ti voglio bene». In «Parla con Alex» Irene Pepperberg racconta la sua esperienza emotiva con il pappagallino che ha accompagnato 30 anni di esperimenti, svelando le caratteristiche di una mente «aliena». Che non è affatto l’unica. Lo racconta «Intelligenze plurime», l’ultimo saggio di Roberto Marchesini, studioso di scienze biologiche e di epistemologia, professore di Scienze Comportamentali Applicate nelle università di Bologna e Milano: ci sono molte menti - spiega - «diversamente intelligenti». Sono quelle di animali che, spesso, mettiamo molti gradini sotto le nostre capacità cognitive. Sbagliando. Professore, lei sostiene che l’intelligenza animale è ancora un tabù per molti scienziati: perché? «Il mio studio arriva alla fine di un percorso scientifico che si basa sull’idea zooantropologica che gli animali abbiano cambiato la nostra condizione umana. Sono nostri ”partners” di vita che ogni giorno ci prospettano nuove possibilità». Per esempio? «Osservare il volo degli uccelli ci ha fatto pensare di poter volare: gli animali sono parte integrante della nostra storia. La visione zooantropologica è, in sostanza, questo: l’uomo è diventato uomo integrando le sapienze animali, acquisendo alcune delle loro caratteristiche». Lei denuncia l’esistenza di un «bias gerarchico», vale a dire il ritenere che l’uomo sia un «assoluto nel suo posizionamento cognitivo»: in pratica che significa? «Dobbiamo cominciare a intendere la diversità animale in modo diverso, non come minorità. Sono, invece, ”diversi”: hanno prospettive diverse e capacità differenti dalle nostre. Si deve pensare all’evoluzione umana come a un’integrazione con la parte animale che c’è in noi. L’essere umano è un frutto ibrido, non puro». Lei prova a stilare un elenco di tante «intelligenze animali». «In effetti la diversità animale va classificata. Si fa sempre il confronto con l’uomo, come se l’uomo fosse al centro dell’intelligenza, ma anche la nostra non è affatto monolitica. Gardener, per esempio, ha teorizzato le intelligenze multiple: Dostoevskij, infatti, è diverso da Einstein. Se questo ha senso nell’uomo, lo ha ancora di più in specie animali differenti. Come i sensi sono diversi anche le menti hanno caratteristiche specifiche. Alcuni animali volano, altri strisciano, altri ancora scavano oppure hanno diverse capacità digestive. Affrontare le sfide della vita, cogliere le opportunità e sfuggire ai rischi: ogni specie lo fa in un modo che gli è proprio». Scendiamo al concreto: gli esempi? «Parliamo di animali vicini a noi come i cani: hanno un’intelligenza sociale, tipica di chi opera in branco e, quindi, deve rappresentarsi in modo collettivo. I cani sono in grado di conoscersi molto bene e solo così possono dividersi i ruoli. Sanno capire come muovere un gruppo e sanno provare tanti schemi operativi. E’ così che ottengono il meglio per se stessi. Poi c’è l’intelligenza enigmistica, quella dei gatti». La descriva. «Significa considerare il mondo come un’insieme di problemi: una ”cosa” causa un’”altra”, sempre tenendo conto dei requisiti strutturali del pro e del contro. Ma significa anche la capacità di essere ”insight”, di guardare dentro. La curiosità è una capacità tipica dei gatti, che sono dei ”solutori”, ancora più degli uomini. E’ una caratteristica degli esseri che vivono prevalentemente da soli». Ci sono animali così speciali da essere, almeno in qualcosa, «più» intelligenti di noi? «Prendiamo l’intelligenza orientativa, che è la capacità di muoversi grazie a mappe mentali. Ci sono animali che ne creano di complicatissime e le memorizzano alla perfezione. I roditori che vengono utilizzati negli esperimenti si ricordano quante volte hanno girato a destra e quante a sinistra. Per loro lo spazio non ha segreti. Altri, invece, si fabbricano mappe stellari e altri ancora paesaggistiche. La nocciolaia, per esempio, è un uccello che sa ricordare fino a 500 nascondigli per immagazzinare il cibo». Queste, comunque, sono capacità perlopiù «pratiche». Quali animali eccellono nell’astrazione? «I corvi e i pappagalli. Loro sanno crearsi categorie di concetti e utilizzano strumenti. E lo stesso vale per i primati». E’ vero che alcuni uccelli sanno anche mentire? «Sì. Il gallo è un grande bugiardo, nel senso che, quando si tratta di chiamare le galline, fa un certo tipo di richiamo, ma solo se è sicuro che non c’è un altro maschio, perché non vuole dividere il suo harem. E il suo richiamo è un ”call food”: dice alle galline che c’è cibo, anche se non è vero, e così le femmine si avvicinano a lui». Agli scimpanzé, invece, si attribuisce addirittura una forma di moralità. «Dimostrano di avere un innato senso della giustizia: si infuriano durante gli esperimenti se non vengono premiati, quando eseguono un compito nel modo giusto». Astrazione e moralità: e l’apprendimento? «Gli animali ricordano e fanno esperienze proprio come noi: queste sono parte integrante del loro processo di apprendimento. Il punto fondamentale è che gli animali hanno una mente e hanno un mondo interiore come noi. Pensano, si posizionano nel mondo, possiedono una consapevolezza del loro corpo e delle proprie emozioni. Tutto questo li rende parenti simili a noi». La sua conclusione? «Anche loro hanno una mente, sebbene diversa. Liberiamoci quindi dall’antropocentrismo. Dovremmo avere più umiltà: l’uomo è soltanto una delle tante stelle di questo universo». Stampa Articolo