Varie, 1 luglio 2009
DIPLOMA E LAVORO PER VOCE ARANCIO
Conviene davvero laurearsi? E’ vero che si trova lavoro più facilmente? Uno studio Unioncamere su 100 mila aziende: al sistema economico italiano mancano almeno 88 mila diplomati tecnici e professionali. I laureati che mancano, invece, sono meno della metà: 42 mila.
La ricerca Excelsior di Unioncamere, Ministero del lavoro e Unione europea relativa al 2008 parlava di 827.890 assunzioni programmate per quell’anno. Di queste assunzioni, il 40,5% (circa 6 punti in più dell’anno precedente) era destinato ai diplomati. Per i laureati la percentuale era del 10,6%. Nel rapporto finale si legge: «La richiesta di diplomati è aumentata di circa 42 mila unità rispetto allo scorso anno, per un totale di 335.280 assunzioni previste nel 2008» (a fronte delle 293.050 del 2007).
Ancora dallo studio Excelsior 2008. I più gettonati sono i diplomati con indirizzo amministrativo e commerciale (111.900 di assunzioni nel 2008), che stacca di molto i diplomati in indirizzo meccanico (33.840) ed in quello turistico-alberghiero (21.620). Bene anche l’indirizzo elettrotecnico, con oltre 15 mila assunti. In crescita, ma con percentuali più basse, anche la domanda di laureati. L’indagine confermava la tendenza, da parte di aziende e datori di lavoro, a prediligere chi ha conseguito una laurea ”specialistica” rispetto agli studenti che si sono fermati al triennio. In aumento anche la richiesta di operai specializzati. In diminuzione, invece, la domanda di personale non qualificato: 103.730 richieste nel 2008 contro le 115.420 del 2007. In termini percentuali la quota sul totale delle assunzioni è passata dal 13,7% del 2007 al 12,5% del 2008.
Lo studio Excelsior 2009 conferma le tendenze dello scorso anno, nonostante la crisi economica. Anzi, la ricerca di figure qualificate è considerata un fattore importante per fronteggiare la crisi. Aumenta al 12% la richiesta di personale con istruzione universitaria. Per i diplomati la richiesta sale al 43% dal 40,5 del 2008. Si conferma poi il calo delle assunzioni con il solo obbligo scolastico (31%), oltre 3 punti percentuali in meno rispetto al 34,3% registrato nel 2008.
L’indagine 2006 di AlmaDiploma (è la più recente, i prossimi dati sui diplomati 2008 saranno presentati nel convegno annuale di dicembre, mentre il rapporto verrà presentato a marzo 2010), rivolta a ragazzi diplomati nel 2005, voleva vedere cosa facessero a un anno dal conseguimento del titolo di studio. Cinquantasei diplomati su cento si sono inscritti all’università (44 su cento fanno solo quello, 12 su cento studiano e lavorano); trentuno su cento si sono inseriti nel mercato del lavoro. I restanti dodici su cento si dividono tra chi è alla ricerca attiva di un impiego e chi invece per motivi vari (tra cui la formazione non universitaria), non cerca lavoro. Studiano soprattutto i liceali (72%), rispetto ai diplomati del tecnico (39,5%) e del professionale (16%). Al contrario, i diplomati che lavorano e basta sono poco diffusi tra i liceali (meno del 5%), contrariamente ai diplomati del tecnico (37%) e del professionale (60%).
La forma di contratto più diffusa tra i diplomati è l’apprendistato, che coinvolge il 37% di coloro che lavorano, ma che raggiunge il valore massimo tra gli occupati del professionale (46%) e del tecnico, mentre scende tra i liceali (13%).
AlmaDiploma conferma che a lavorare per primi sono soprattutto i diplomati che vengono dagli istituti professionali, di cui circa il 60% trova un impiego appena conseguita la licenza superiore. Ultimi i liceali: rappresentano il 25% degli occupati, impiegati soprattutto in attività saltuarie.
Eppure negli ultimi 17 anni gli istituti tecnici hanno continuato a perdere studenti. Anche adesso, nonostante una leggera ripresa nelle iscrizioni, mancano 180 mila tecnici specializzati.
Mentre le imprese chiedono più ragionieri e periti, dal 1990 le scelte delle famiglie si sono orientate sempre più verso i licei. Il sorpasso nel 2004, quando la quota dei liceali superò quella dei tecnici. Tra le cause: la nascita dei licei tecnologici prevista dalla Riforma Moratti (poi abrogati), la tendenza delle famiglie a preferire percorsi di studio elitari (evitando le scuole frequentate dai figli di extracomunitari) e, ammettono i presidi, «un certo scadimento generale della qualità dell’istruzione superiore».
La buona notizia: nel 2008 i tecnici hanno registrato uno 0,6 per cento in più di iscritti.
La carenza di diplomati utili alle imprese ha spinto il governo a dare il via, nei mesi scorsi, alla riforma degli istituti tecnici e professionali (l’ultimo riordino era del 1931), che entrerà in vigore dall’anno scolastico 2010-2011 per le prime e le seconde classi. Attualmente gli istituti tecnici contano 39 indirizzi (con centinaia di sperimentazioni) e sono frequentati da 873.522 ragazzi. Con il nuovo regolamento ne resteranno 11, divisi in due grandi settori. Quello economico ne conterrà due: amministrativo, finanza e marketing; turismo. Quello tecnologico ne avrà nove: meccanica, meccatronica ed energia; trasporti e logistica; elettronica ed elettrotecnica; informatica e telecomunicazioni; grafica e comunicazione; chimica, materiali e biotecnologie; sistema moda; agraria e agroindustria; costruzioni, ambiente e territorio. Gli studenti avranno un orario settimanale di 32 ore di lezione di 60 minuti (contro le attuali 36 di 50 minuti). Il tempo trascorso a scuola non cambierà. Si farà meno diritto. Per gli istituti professionali (545 mila ragazzi, cinque settori, 27 indirizzi e un numero elevatissimo di sperimentazioni) la riforma punta ad un raccordo con l’offerta di lavoro presente nel territorio regionale.
Molti istituti tecnici sono nati come scuole aziendali. E ancora oggi continuano a collaborare con le grandi imprese italiane. I casi eccellenti di partnership: il Quintino Sella di Biella e il lanificio Ermenegildo Zegna, il Badoni di Lecco e la Moto Guzzi di Mandello del Lario, il Nobili e la Max Mara di Reggio Emilia, il Malignani e le Officine Danieli di Udine. A capo del Malignani c’è Arturo Campanella: «La metà dei nostri studenti - dice - va all’università. Tutti gli altri sono sistemati già dalla quarta classe. L’anno scorso 800 aziende ci hanno chiesto l’elenco degli iscritti».
Gianfelice Rocca, a capo della Techint e vicepresidente di Confindustria per l’Education, convinto che «non si vive di soli laureati», gli istituti tecnici sono «la cura anti-recessione»: «Si sta riscoprendo la concretezza. Bisogna abbandonare il genericismo che spinge tutti a fare il classico o lo scientifico».
I diplomati nel 2005 a un anno dal conseguimento del titolo guadagnano in media 740 euro mensili netti. Il divario di genere è consistente: 940 euro i maschi e 865 le femmine, se si considerano solo i lavoratori a tempo pieno.
Il 57% dei diplomati ritiene che il proprio guadagno sia adeguato alla posizione occupata. Nel complesso i diplomati che lavorano sono discretamente soddisfatti del lavoro svolto: in media il giudizio (espresso con giudizio da 1 a 10) è pari a 7,6.
Secondo l’indagine AlmaDiploma, quasi la metà dei neodiplomati, se avesse la possibilità di tornare sui suoi passi, cambierebbe scuola o indirizzo. Un dato preoccupante, segno di un qualche malfunzionamento nel sistema di orientamento scolastico. «Raramente un ragazzo prende la decisione da solo - spiega il professore Andrea Cammelli, di AlmaDiploma - Influiscono molto nella scelta le pressioni dei genitori e dell’ambiente familiare in genere. Statisticamente, ad esempio, i 9 figli di genitori laureati su 10 scelgono il liceo. Assistiamo però ad una maturazione in itinere. Lo dimostra la quantità di diplomati provenienti dai professionali che scelgono l’università».
Allora conviene non fare l’università? Elio Pasca, direttore di AlmaDiploma, spiega: «Come dimostrano i dati Istat relativi al 2005, solo nella fascia 25-34 anni c’è un leggero vantaggio nel tasso di occupazione dei diplomati sui laureati (rispettivamente 71% contro 69,4%, ndr), dovuto al fatto che ci sono ancora giovani in formazione superiore. in tutte le altre fasce d’età e nel complesso la differenza è netta (in media superiore ai 10 punti percentuali)».
Ecco gli altri dati Istat 2005 sulle altre fasce d’età: 35-44 anni, diplomati 82,3% laureati 90,7%; Fascia 45-54 anni: diplomati 82,2%, laureati 92,9%. Fascia 55-64 anni: diplomati 47%, laureati 66,7%.
I laureati nel 2005, a un anno dalla laurea, dichiarano un guadagno netto medio di 1.042 euro (in questo caso sono comprese tutte le tipologie di contratto anche quella a tempo parziale, meno presente fra i laureati).
Ma servono più laureati o più diplomati? Risponde Leonello Tronti, consigliere economico del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e responsabile delle statistiche congiunturali sull’occupazione e i redditi presso l’Istat: «La domanda di lavoro è maggiore per posizioni meno qualificate. Ma è ovvio: la struttura occupazionale si può pensare come una piramide, dove la punta è costituita dalle posizioni maggiormente qualificate e la base da quelle meno qualificate. Insomma, i dirigenti devono avere qualcuno da dirigere. Certo è che l’Italia è indietro rispetto agli altri paesi europei, dove i posti per persone qualificate e altamente qualificate sono almeno il doppio che da noi». Perché? «Perché in Italia ci sono poche grandi imprese, mentre sono molto diffuse quelle piccole e piccolissime, scarsamente attrezzate per accogliere dipendenti qualificati e laureati. Le piccole imprese fanno crescere l’occupazione, ma sono più lente nei processi di ammodernamento e dunque meno propulsive per tanti altri aspetti: dalle questioni delle risorse energetiche fino a quella, appunto, dei lavoratori più qualificati». Allora i diplomati… «Trovano prima lavoro, ma i laureati nel giro di qualche anno guadagnano di più».