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 2009  giugno 30 Martedì calendario

LA SFIDA VERDE DELLA SVEZIA ALL’UNIONE EUROPEA


La famosa asti­cella, questa volta, è stata davvero piazzata in alto. O in basso, a se­conda dei punti di vista. L’Unione Europea si impegna a tagliare in media del 20 per cento le sue emis­sioni di gas serra entro il 2020, e gli Usa da parte loro propongono un 17%? Ma sì, la Svezia accetta e rilancia: in casa sua, tagli del 40%, in alcuni settori. E poi: entro il 2030, un sistema trasporti comple­tamente indipendente dal carbon fossile, cioè dai combustibili tradi­zionali; ed entro il 2050, l’intera economia ugualmente libera dal carbone e basata solo su bioener­gia e fonti rinnovabili di tutti i ge­neri.

Illusioni? Può darsi. Però non è il caso di fare spallucce: da doma­ni, proprio la Svezia assume la pre­sidenza di turno della Ue e la terrà fino al 31 dicembre. Sui temi am­bientali ha dietro di sé gli altri Pae­si del Nord, e a questo aggiunge un discreto «pedigree»: per esem­pio, un quarto dei suoi consumi energetici è soddisfatto da ener­gie rinnovabili; e grazie all’effi­cienza energetica, nonostante il poco sole e il clima freddo, vanta le case termicamente meglio isola­te di tutta l’Europa. Anche se Gre­enpeace dice: può fare ancora di più, molto di più. Così, la lotta al cambiamento climatico è il perno del programma svedese per la pre­sidenza Ue: «La nostra ambizione – così dice il testo ufficiale – è che una forte leadership politica della Ue promuova la transizione verso un’economia eco-efficiente, dove le opportunità di crescita sia­no rafforzate e le considerazioni ambientali e climatiche abbiano il loro posto».

Traduzione dal politichese: gli svedesi vorrebbero rendere più verde l’Europa. Lo fanno capire an­che il motto che Stoccolma ha pre­scelto per questi 6 mesi – «Accet­tare le sfide» – e l’immagine «na­ture » che apre il sito Internet della stessa presidenza: un piatto di fra­gole e una bambina che muore dal­la voglia di divorarle (immagine firmata dal fotografo italiano Clau­dio Bresciani).

Ma anche il logo della presiden­za, dice qualcosa: una triplice spi­rale blu, celeste e gialla che richia­ma i colori di sole, cielo e mare, e simboleggia ufficialmente i con­cetti di «apertura, dialogo, clima». Però sarà una missione da far drizzare i capelli, poiché i 27 Paesi non sono d’accordo quasi su nul­la, a parte gli obiettivi teorici a lun­ga distanza. Ma è a breve, brevissi­ma distanza l’obiettivo più impor­tante: cioè trovare un’intesa pri­ma della Conferenza sul clima di Copenaghen, a dicembre, la Kyoto d’Europa in cui la Ue dovrà mette­re in tavola le proprie carte e con­vincere anche Usa, Cina, India, Russia, e i paesi africani, a fare di più per ripulire i cieli del globo.

Con scandinava franchezza, l’al­tro giorno, il primo ministro sve­dese Frederik Reinfeldt ha propo­sto la sua ricetta a 500 milioni di europei: «Abbiamo bisogno di una tassa sul CO2». Cioè sul biossi­do di carbonio in tutte le sue for­me. la carbon tax che la Svezia sperimenta già da anni: colpisce i carburanti ma non i biocarburan­ti, il diesel da riscaldamento ma non gli impianti di co-generazio­ne dell’elettricità e del calore (che di solito sfruttano il surplus di va­pore o energia di qualche indu­­stria), e così via. In una parola: è una tassa mirata, che castiga chi si ostina a inquinare, mentre stimo­la gli altri a diventare sempre più «verdi».

Detestata da molti, ma amata da altrettanti, è la principale leva eco­nomica cui Stoccolma si è affidata per far pulizia in casa propria. E ora, chissà, pure nella casa comu­ne in cui convivono 27 nazioni. La carbon tax esiste anche in Dani­marca, Finlandia e Slovenia. E la Francia vorrebbe sperimentarla fra un paio d’anni. Ma gli altri? Stoccolma, pur presidente della Ue, non può naturalmente impor­la a nessuno. Però ha tutte le inten­zioni di pestare sull’esempio.

Gli altri suoi argomenti forti so­no legati alla diversificazione del­le fonti di energia rinnovabile, e al miglioramento dell’efficienza energetica in generale. La Svezia ha già un centinaio di centrali del vento, conta di realizzarne molte altre. Ha un ben collaudato siste­ma di district heating, riscalda­mento di interi condomini, rioni e città che producono (quasi) tanta energia quanta ne consumano: spesso traendola dagli impianti di trattamento dei rifiuti.

I pannelli solari non sono più una novità da molti decenni, an­che se il sole è naturalmente raro ed avaro. Ma si spende molto nel­la ricerca sull’energia geotermica (pompe che traggono calore da pozzi scavati in profondità), e in quella sull’energia di correnti e maree, dato il grande sviluppo del­le coste e l’abbondanza di fiumi e laghi.

Entro il 2020, la Svezia trarrà il 50% (non il 20%, obiettivo Ue) del­la sua energia da fonti rinnovabili. Per migliorare la propria efficien­za energetica, Stoccolma ha già stanziato 27,3 milioni di euro per ogni anno dal 2010 al 2020. E pun­ta molto sulla co-generazione che consente il recupero di energia ter­mica: se si riuscisse a raddoppiar­ne gli impianti da qui al 2020, è stato calcolato che in Europa le emissioni di CO2 calerebbero di 50 milioni di tonnellate all’anno.

Nel suo programma per la presi­denza Ue, il governo svedese ha un po’ maliziosamente riproposto un concetto che negli ultimi due anni, sotto l’infuriare della crisi economica, era stato dimenticato: è vero che la Ue ha promesso di ri­durre del 20% le sue emissioni en­tro il 2020, ma solo se a Copena­ghen non si troverà un accordo con Usa, Cina, Russia, Africa. Nel­l’altro caso, quello che ci si dovreb­be augurare tutti, l’Europa «ha convenuto che ridurrà le sue emis­sioni del 30%»: e così tamponerà anche la crisi economica. Perché la Svezia ha fatto proprio questo: dal 1970, secondo le statistiche uf­ficiali, ha tagliato le sue emissioni del 40% e nello stesso tempo ha goduto di una crescita economica del 100%.

L’«energia verde», giurano a Stoccolma, fornisce anche reddito e posti di lavoro. Resta solo da spiegarlo ad altri 26 Paesi. E a qua­si mezzo miliardo di persone.