Pierangelo Sapegno, La Stampa, 30/6, 30 giugno 2009
SOLO TRANS NEL PAESE DEI VITELLONI
un paesino che a quest’ora, alle sei del pomeriggio, Paula la noti subito, fuori dal bar di via Marco Polo, con le cosce di fuori e le tette che pesano sulla maglietta come se fossero di piombo. Potrebbe essere una donna, una stangona da più di un metro e 80, con le gambe da centravanti. Con due mani tipo pinze. E con due labbra che Valeria Marini non è niente. Dice che viene dalla Columbia («e tu Ciccino?»). Dice che ha una casa alla Duna («come queste, vedi?»). Dice che è una trans, ma già comincia a innervosirsi («da cosa l’hai capito, cocco?»). Poi prende a non dire più niente, appena le chiediamo perché molte di loro hanno scelto questo paese per abitarci. Si chiama Lido di Classe, sull’Adriatica, dopo Ravenna, dei campi lunghi sotto il sole, e delle case fra la pineta, il mare e questa piana dietro. A vederlo, è un tranquillo posto da Romagna. Conta 438 residenti (196 donne e 242 uomini), che d’inverno non sono più di 250. E duecento trans, a fare i calcoli alla svelta. Angelo Gorini, vicepresidente dell’Associazione Amici di Lido di Classe, spiega che sono almeno 48 gli appartamenti affittati ai viados, «quelli accertati, intendo: siccome di solito sono almeno in due per alloggio, ma parecchie volte anche in cinque, si fa presto a fare i conti». Case di lusso, spiega, mica stamberghe. E’ così che Lido sta diventando il paese dei trans.
Se vuoi sapere da Paula come è nata questa storia, lei ti sventola sotto il nase dei ditoni con le unghie laccate e dei fiorellini in punta che non promettono niente di buono. Parla in spagnolo, ormai, niente più italiano. E dal bar è venuta fuori un po’ di gente a guardare. La prendiamo alla larga, tutti sudati, con una giacchetta da schifo e il computer a tracolla: siamo giornalisti, che male c’è, stiamo facendo un’inchiesta.
Con un po’ di vergogna, chiediamo: quanto costa la vita qui? Risposta scocciata: come in tutti i paesi d’Italia (però è già più calma). Quanto paghi d’affitto? Lei dice qualcosa a un signore lì vicino che sta ascoltando. Mille euro al mese? Ridendo: «Di più». Duemila? Senza ridere: «Di più». Dall’altra parte, in via Vivaldi, vicino all’hotel Sorriso, Gorini spiega che le Dune, il quartiere dove abita Paula, è quello residenziale, dove ci sono le case migliori.
E’ la solita storia. C’è chi ci guadagna, e chi protesta. Terzino Giorgini dalla sua osteria di fronte a una pineta ha già mandato più di dieci lettere al Comune per lamentarsi: i trans portano prostituzione, «soprattutto di notte, a tutte le ore, agli angoli delle strade e sotto le abitazioni». Prima non battevano qua, andavano sull’Adriatica, vicino alla Chiesa di San Severo, «dopo il passaggio a livello, ha presente?». Avevano preso casa a Lido di Classe, a qualche chilometro di distanza, e tornavano finito il lavoro nei bar che restavano aperti dopo le quattro di mattina, a prendere un caffé prima di andare a letto. Ne vedevi qualcuna che rientrava in bicicletta. Era cinque, sei anni fa. Allora non protestava nessuno. In fondo, perché non si può affittare dei trans, se non fanno niente male? Solo che ha fatto in fretta a cambiare tutto.
Gli abitanti attorno alla Chiesa e sull’Adriatica hanno cominciato a raccogliere firme e a far proteste. Sono arrivati i vigili e i carabinieri e li hanno cacciati. Così all’improvviso il mondo s’è accorto che tutti quei trans vivevano qui, a Lido di Classe.
E’ per questo che è scoppiato il putiferio. Quando hanno visto che con la loro bicicletta magari non andavano più sull’Adriatica, ma si fermavano qui, in via da Verazzano, una strada lungo una pineta con pure un parco giochi per bambini. Alcuni dei trans hanno le case lì, stanno ai balconi, o alle finestre, a scherzare con i passanti mostrando le loro cosce da terzini e i loro seni da maggiorate appoggiati sulle ringhiere dei balconi o sui davanzali.
Il problema è che non se ne vanno più via quando scende la sera e arriva la notte. E che adesso li vedono tutti. E sono diventati un esercito, «alla faccia della Classe». Con la C maiuscola del suo nome.
Terzino Giorgini è il più vecchio bagnino del paese, l’ha cominciato a fare negli Anni Sessanta quando qui ci venivano solo i villeggianti da Ravenna con le famiglie e i secchielli dei bambini. Lui aveva i Bagni Sayonara, che oggi si chiama Cajo Loco, così spagnoleggiante, per dire come sono cambiati i tempi. Allora, era poca roba, tutta gente del posto, la conoscevi anche d’inverno. Ha fatto il bagnino per 46 anni, e ricorda che «il boom arrivò solo negli Anni Ottanta. Venivano dalle grandi città del Nord, da Milano, da Torino, e tanti scendevano dalla Germania». Adesso ci sono undici alberghi e più di duemila appartamenti e 17 Bagni: d’estate fa ormai più di 15 mila turisti. E’ diventato un posto importante, dice Terzino: «Non possiamo fare il paese dei trans».
Alla fine, in questo scandalo di convivenza, ha preso posizione anche il Comune. E adesso l’assessore al decentramento di Ravenna, Silvia Lameri, dice che «l’amministrazione non si è certo sottratta al controllo degli appartamenti. Ma sono quasi tutti in regola». Arriva persino a dichiarare che il problema è un altro: «A questo punto è necessario e urgente che nei condomini sia fatto divieto di affittare ai viados». Che detto da una signora dei repubblicani in giunta con i ds magari fa un certo effetto. O faceva un certo effetto. La attacca Antonio Luordo, di Rifondazione: «Scandaloso. Sembra di essere tornati indietro, quando nel Nord Italia appendevano i cartelli con su scritto "Non si affitta ai meridionali"». E la difende Gianluca Pallazzetti, vicecoordinatore provinciale del pdl: «Ha ragione Lameri. E’ noto che in tanti sul fenomeno della prostituzione ci speculano sopra».
Silvia Lameri puntualizza che non c’è razzismo, che solo «non si può imputare all’amministrazione il fatto che la località sia abitata da molti transessuali. Volevo rimandare la questione ai cittadini, come mi pareva fosse giusto: se si lamentano tanto, che non affittino».
Il Comune sembra che le abbiano tentate proprio tutte. Massimo Pandolfi, giornalista del Carlino, racconta che avevano aperto pure un corso di badanti per trans, così potevano rendersi utili alla comunità. Pare che sia fallito. Certo, a guardare Paula, con le sue cosce lunghe come dei binari di un tram e un chilo appena di cerone sulle guance, non riusciamo proprio a immaginarcela a far da balia a qualche vecchietta in carrozzella, o a portare a passeggio sul lungomare il nonnino di Lido. Ormai, Paula s’è calmata. Potremmo pure offrirle un caffé se non avessimo tutta questa fretta. Tu la faresti la badante?, chiediamo. Scoppia a ridere. Una risata gutturale. «Ma tu sei scemo», dice. La verità è che o siamo figli di buona donna o siamo figli di buona donna.