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 2009  giugno 30 Martedì calendario

L’oro e le banche centrali «leggere» - Il governo vuole toccare l’oro della Banca d’Ita­lia, fino a oggi intangibile

L’oro e le banche centrali «leggere» - Il governo vuole toccare l’oro della Banca d’Ita­lia, fino a oggi intangibile. un passaggio de­licato, nel quale le esigenze di cassa del Tesoro si intrecciano con le tensioni tra il ministro del­l’Economia e il governatore. Merita dunque che se ne parli, cercando di stare ai fatti e alla storia, anche prima dell’esame parlamentare. Con l’articolo 14 del decreto anticrisi presentato da Giulio Tremonti, il governo vara un’imposta so­stitutiva, e non deducibile, del 6% sulle plusvalenze teoriche maturate nell’anno sull’oro detenuto per scopi non industriali e non conferito a istituzioni europee. Poiché l’unico ente a possedere ingenti ri­serve auree è la banca centrale, si tratta, in sostan­za, di una patrimoniale ad personam. Ma prima di ragionare sui profili qualitativi del provvedimento, vediamo di quanti soldi stiamo parlando. La Banca d’Italia detiene 2452 tonnellate d’oro a bilancio per quasi 49 miliardi di euro. un inve­stimento che può apprezzarsi o svalutarsi ma che non paga dividendi né interessi. Nel 1999, la Bank of England cominciò a vendere un gran numero dei suoi lingotti per reinvestire in titoli al momen­to più redditizi. Ormai slegato dalle monete, l’oro pareva avviato al tramonto definitivo. Le banche centrali di Francia, Spagna, Olanda e Portogallo imitarono la consorella britannica. Ma poi, visto il costante apprezzamento del metallo giallo, han­no finito con l’impoverirsi di 40 miliardi. La Peo­ple Bank of China, invece, fa da anni incetta di oro. La Banca d’Italia se l’è tenuto stretto. E nello stesso periodo, ne ha registrato il raddoppio di va­lore. Ma non è stata speculazione. In realtà, sia Fa­zio che Draghi hanno considerato l’oro la garan­zia estrema, perché senza rischio di controparte, per poter essere prestatori di ultima istanza del sistema bancario. Ieri l’oro quotava 936 dollari l’oncia contro i 915 di fine dicembre. Se questi fos­sero i valori di fine esercizio, la Banca d’Italia di­chiarerebbe una plusvalenza teorica di 1,17 miliar­di di euro e l’Erario incasserebbe 70 milioni, anzi un po’ meno considerando la parte «europea» in franchigia d’imposta. Poca cosa. La delicatezza della questione dipende da al­tro. E precisamente da quattro aspetti dell’opera­zione: a) un’imposta sostitutiva di tal fatta può es­sere applicata alle plusvalenze sull’oro, ma pure su altre attività della banca centrale; b) l’aliquota del 6% è bassa, ma, una volta costituito il prece­dente, il governo potrebbe accrescerla ad libitum; c) non sembra sia previsto, almeno non esplicita­mente, un credito d’imposta in caso di minusva­lenze; d) le risorse tolte in questo modo alla ban­ca centrale hanno la sostanza di una cessione pa­trimoniale, ma non la forma, e così possono esse­re usate per finanziare il deficit corrente e non de­stinate, invece, al fondo di ammortamento del de­bito pubblico come si deve fare con gli incassi dal­le privatizzazioni. Siamo dunque all’inizio di una svolta o alla rie­dizione in scala minore dei prelievi effettuati da Ciampi con il consolidamento dell’Uic e dal pri­mo Tremonti con lo swap sui titoli pubblici? Per chiarire la questione andrebbero approfonditi un punto di metodo e uno di merito: se ci sia stata informazione preventiva, se non proprio concer­tazione, tra il governo e la banca centrale, istitu­zione pubblica ma indipendente, com’era accadu­to nelle precedenti occasioni; se sia intenzione del governo ridurre il patrimonio della Banca d’Italia, che in passato consentì di salvare il Ban­co di Napoli senza oneri per il Tesoro, per avvici­narsi al modello leggero delle banche centrali an­glosassoni.