Roberto Bongiorni, ཿIl Sole-24 Ore 30/6/2009;, 30 giugno 2009
I MARINES VIA DALLE CITT IRACHENE
Non si vedranno più sulle strade. I loro mitra spianati, le divise tecnologiche color cachi, la diffidenza verso chiunque - anche donne, bambini e anziani - doveva attraversare i check point. Tutto ciò non ci sarà più, o quasi. Oggi in Iraq è festa nazionale; per la prima volta dal 2003, anno dell’invasione dell’Iraq, le unità combattenti dell’esercito americano completeranno il ritiro dai centri abitati del paese per rifugiarsi nelle loro basi.
Non sono pochi: 130mila soldati. Baghdad, Falluja, Mosul, Bassora; la loro presenza era divenuta parte del panorama metropolitano. Già ieri, alla vigilia di quella che il premier sciita Nouri al-Maliki ha definito la "grande vittoria", le forze irachene hanno sfilato lungo le strade della capitale sui loro veicoli blindati donati dagli Stati Uniti, addobbati per l’occasione con bandiere e corone di fiori in mezzo a molti sostenitori.
Per la maggior parte degli iracheni è una tappa storica. Il primo passo che dovrebbe condurre a un sostanziale ritiro a settembre, a una successiva riduzione nell’agosto del 2010 (resteranno 50mila soldati) fino all’evacuazione completa prevista, secondo il piano del presidente americano Barack Obama, entro la fine del 2011.
Più di qualche eccezione tuttavia c’è. I militari americani avranno il controllo dei cieli e le operazioni anti-terrorismo continueranno al di fuori dei centri abitati, seppur concordate con le autorità di Baghdad. Alcune basi, infine, sono state definite rurali per far sì che, in alcune zone delicate (come l’aeroporto di Baghdad e la città di Baquba) i militari possano effettuare ancora le loro operazioni. Infine, l’accordo prevede che il governo di Baghdad può ripensarci, e chiedere il rientro dei marines,che comunque continueranno l’addestramento delle truppe irachene in alcune aree metropolitane qualora la situazione lo richieda. Ma è comunque un grande cambiamento.
«Questo è il giorno dell’orgoglio iracheno. l’ultimo giorno d’arroganza per i soldati americani nelle strade delle nostre città »: ha aperto così l’edizione di ieri il giornale di stato iracheno al Sabah. Il premier al Maliki ha parlato di «cacciata degli occupanti ». «Non è esattamente come io l’ho interpretata », ha spiegato il generale Ray Odierno, capo dell’esercito americano di stanza in Iraq. «Credo comunque che loro siano pronti, c’è stato un progressivo miglioramento nelle loro capacità. E questo è il dato più importante» Ma è davvero ciò che vogliono gli iracheni? Sono in molti a temere come il ritiro dei marines possa innescare nuovi attentati, riaccendere rivalità soltanto sopite tra i diversi gruppi interconfessionali. Il ritiro delle truppe americane, sicuramente meglio addestrate e dotate di una tecnologia all’avanguardia per intercettare i kamikaze, potrebbero spingere le cellule sunnite legate ad al-Qaeda a un colpo di coda, fomentare quindi una rappresaglia da parte delle milizie sciite, invogliare i curdi a rafforzare la loro presenza nella città contesa di Kirkuk, dichiarata nell’ultimo emendamento della Costituzione curda parte del Kurdistan. Timori fondati: negli ultimi 10 giorni l’Iraq è sprofondato nell’incubo dei kamikaze. Quasi 300 morti in una serie di attentati che hanno colpito il paese. I due più gravi sono simbolici; è stata colpita Kirkuk e pochi giorni dopo Sadr City, il quartiere sciita di Baghdad dove poco prima i marines avevano abbandonato le postazioni. Un copione che si è ripetuto con cadenza quotidiana, anche ieri, con 10 vittime, tra cui sei poliziotti iracheni intenti a disinnescare un’autobomba a Mosul, città nel nord dell’Iraq una delle roccaforti della resistenza sunnita insieme a Baquba.
Ieri i marines hanno passato di mano ai colleghi iracheni il controllo di oltre 150 installazioni. «Le forze americane sono tenute a rispettare i tempi stabiliti nell’accordo strategico con Baghdad per il ritiro dalle città irachene, tra cui Kirkuk e Mosul ma sono in corso colloqui per elaborare un meccanismo preciso che non abbia ripercussioni sulla sicurezza in queste due province», ha precisato l’ambasciatore Usa in Iraq Christopher Hill.