Gigi Garanzini, ཿIl Sole-24 Ore 30/6/2009;, 30 giugno 2009
A UN PASSO DALLA CONSACRAZIONE
Mai come in questa occasione il calcio mondiale era andato così vicino alla definitiva scoperta dell’America. Per tre tempi consecutivi, i due contro la Spagna e il primo contro il Brasile, la nazionale a stelle e strisce ha messo sotto due delle grandi favorite al mondiale sudafricano prossimo venturo. Non ha completato l’opera nel quarto e decisivo tempo, proprio quando il più sembrava fatto, perché da un lato ha accusato il grande dispendio fisico richiesto dalla sua interpretazione del gioco; e dall’altro si è probabilmente fatta cogliere dalla celebre sindrome di Dorando Pietri (l’atleta italiano passato alla storia per il drammatico epilogo della maratona alle Olimpiadi di Londra del 1908), quella che ti fa sembrare sempre più lontano il traguardo mano a mano che s’avvicina.
Ma al di là di una performance di grande prestigio, la migliore di sempre del calcio statunitense, al di là del merito di aver riportato il soccer sulle prime pagine dei grandi quotidiani americani, e stavolta sulla spinta del coinvolgimento popolare e non dell’evento creato a tavolino, ce n’è uno più squisitamente tecnico, e tattico. Che cioè proprio contro le grandi nazionali del pianeta, Spagna, Brasile, anche l’Italia sino a quando era durata la parità numerica, la nazionale di Bradley ha dato come la sensazione di aver finalmente trovato una via americana al calcio.
Un curioso mix di football antico e moderno, in cui accanto a momenti di puro sacrificio stile tempi eroici c’è spazio per un gioco, meglio, un controgioco essenziale capace di crearsi spazi tanto più ampi quanto più fulmineo è lo sviluppo della manovra. In certe fasi concitate della semifinale, quando gli spagnoli assaltavano in massa e i difensori si immolavano lanciandosi in spaccata in avanti contro il nemico, era impossibile non pensare ai vecchi western e a quelle eroiche difese in cerchio contro gli indiani. Ma quando, su un errore in attacco di Maicon, quattro passaggi in verticale hanno affettato i brasiliani prima che Donovan, miglior giocatore del torneo, toreasse da campione l’ultimo difensore, beh quello è stato un momento di calcio d’alta scuola perché per l’esatta misura di una combinazione a quella velocità serve anche una signora tecnica di base.
Sfiorata l’impresa storica, è in arrivo il momento del paradosso. Nel senso che se non al rango di teste di serie, dopo questa prestigiosa piazza d’onore gli States potrebbero ambire a un trattamento di prestigio/favore al sorteggio mondiale di Città del Capo, il prossimo 4 dicembre. A patto però che si qualifichino. Eventualità al momento tutta da verificare visto che in testa al girone c’è il Costarica, e la trasferta in Messico del 12 agosto potrebbe complicare ulteriormente le cose. A poco meno di un anno dal mondiale (11 giugno-11 luglio), d’altra parte, non sono poche le nazionali che potrebbero ambire al ruolo di rivelazione costrette a risolvere, innanzitutto, la pratica qualificazione.
La Russia di Hiddink, per esempio, potenzialmente competitiva anche per il carisma del suo tecnico ma ancora alle prese con un girone che la costringerà probabilmente agli spareggi.
Altre invece, sempre tra le possibili sorprese, sono già più vicine alla meta: per esempio la Serbia, il Paraguay, la stessa Inghilterra. L’Inghilterra outsider? Non per gli indiscutibili quarti di nobiltà, sì per i piazzamenti più recenti ai campionati del mondo: ma tenendo ben presente il salto diqualità compiuto con l’avvento di Capello alla sua guida.
Quanto al Sudafrica, mai sottovalutare l’incidenza del fattore campo in un campionato del mondo: né dal nobile punto di vista dell’orgoglio nazionale (in questo caso continentale, trattandosi della prima edizione africana) né da quello più prosaico dei fattori ambientali, e arbitrali. Il Sudafrica visto nei giorni scorsi era un avversario non facile da domare. A un anno data sarà accuratamente da evitare.