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 2009  giugno 30 Martedì calendario

GLI STATES SCOPRONO LA MAGIA DEL CALCIO

Non si può negare l’evidenza: nonostante l’exploit della nazionale in Sud Africa, in America il soccer rimane a tutt’oggi il cugino povero dei quattro grandi sport di squadra: football, basket, baseball e hockey sul ghiaccio. Per capire quanto più povero, basta sapere un paio di numeri: nel 2009, la National Football League, la lega di football americano, prevede di incassare 3,75 miliardi di dollari in diritti televisivi, mentre la Major League Soccer, la lega di soccer, ne ha incassati 30 milioni negli ultimi 8 anni messi insieme.
Se poi si fermasse un americano a caso per strada e gli si chiedesse il nome della squadra che ha vinto l’ultimo campionato di calcio, difficilmente si troverebbe risposta. Ma ben 17 milioni di yankees giocano, anche se Landon Donovan, autore del secondo goal contro il Brasile, non è Kobe Bryant, neocampione della Nba con i suoi Los Angeles Lakers. E i fan della sua Galaxy, squadra sempre di Los Angeles, sono le poche decine di migliaia di persone che vanno allo stadio. O poche di più.
Fatte queste doverose premesse, si può dire con altrettanta fermezza che c’è sì voluto del tempo, ma ormai il calcio negli e degli Stati Uniti è una realtà. Anche se paragonabile più a quella argentina che a quella delle grandi potenze calcistiche europee. Come l’Argentina, gli Usa hanno un campionato interno di spessore limitato e ancor più limitata visibilità, ma una base giovanile ormai massiccia a cui è aperta anche l’alternativa dell’emigrazione.
Emblematiche le storie professionali dei due pilastri della nazionale: Donovan, che fa appunto l’attaccante per la Galaxy, eTim Howard, che invece fa il portiere per l’Everton nella Premier League inglese. Uno cresciuto in casa (a parte una brevissima tappa a Monaco con il Bayern). L’altro "educato" all’estero.
L’affermazione del soccer in America è stata frutto di un processo che si è mosso simultaneamente su due fronti, quello della costruzione della base, sia di calciatori che di fan, e quello della costruzione di una lega professionistica in grado di durare e crescere. L’esatto contrario di quello che era stato fatto negli anni ’70 con la vecchia North American Soccer League, calata dall’alto a colpi di vecchie glorie europee e sudamericane con raggiunti limiti d’età, da Giorgio Chinaglia a Franz Beckenbauer per finire con Pelè.
I primi risultati sono arrivati nel settore femminile, quello in cui la competizione straniera era molto più debole (se non inesistente). A partire dalla vittoria nella prima Coppa del Mondo femminile, nel 1991 in Cina, la nazionale femminile Usa si è dimostrata una delle più competitive al mondo. E la medaglia d’oro alle Olimpiadi dell’anno scorso a Pechino ne ha confermato la forza. Non c’è quindi da sorprendersi se tra le giovani americane le calciatrici siano tra le sportive più popolari, e loro stesse preferiscano praticare il calcio piuttosto che qualsiasi altro sport di squadra. O che Malia Obama, come prima di lei Chelsie Clinton, abbia scelto uno sport che suo padre non ha mai praticato.
In campo maschile è stato ovviamente tutto più difficile. I fondatori della Msl, hanno scelto una strada tanto conservatrice quanto anomala:hanno creato un’unica società a responsabilità limitata che di fatto controlla tutte le squadre della Lega, recluta i giocatori, negozia i loro salari e decide chi gioca e dove. L’esatto contrario di quello che si è fatto in Inghilterra (e si sta pensando di fare anche in Italia), dove sono le squadre a essere proprietarie della lega.
Un "uno-due" di una singola squadra come quello condotto in porto dal Real Madrid qualche settimana fa con il simultaneo acquisto di Kakà e Cristiano Ronaldo, non sarebbe mai possibile negli Usa. Ma dal punto di vista della solidità economica dello sport non è detto che ciò sia un handicap. Anche perché, cautela e restrizioni non hanno impedito alla Mls di fare acquisti di peso. E di prestigio ancora attuale. Come l’acquisto di David Beckham, sbarcato alla Galaxy nell’estate del 2007 con contratto record da 32,5 milioni di dollari. Il fatto che la squadra di Los Angeles non sia riuscita a vincere il campionato, né tantomeno a bloccare la fuga di Beckham al Milan non significa che l’impatto del suo personale sbarco in America sia stato insignificante. A dimostrare proprio il contrario sono le oltre 600mila magliette con il suo nome vendute (a 80 dollari l’una!), l’aumento medio di 10mila presenze allo stadio di Los Angeles e la crescita dello share televisivo delle partite da lui giocate (che nel 2007 è stata del 67% e nel 2008 di un altro 22%).
Buoni sono stati anche irisultatidell’ultima squadra entrata nella Mls, i Seattle Sounders, che quest’anno ha battuto il record di spettatori, con una media di circa 30mila a partita.Con l’arrivo dellaPhiladelphia Union la prossima primavera e delle squadre di Portland e di Vancouver nel 2011, la lega raggiungerà il suo obbiettivo di un campionato a 18 squadre distribuite sull’intero territorio nazionale (e alcuni centri urbani del Canada). E buona parte delle sue squadre avrà un suo stadio di proprietà. A New York, come gli Yankees e i Mets nel baseball, dalla prossima stagione anche i Red Bulls avranno il proprio e non saranno costretti a prendere in prestito quello dei cugini ricchi del football.
«Quando nacque la Mls, poche persone sarebbero state disposte a scommettere che sarebbe sopravissuta più di qualche anno. Da allora ne sono passati sedici. E in un momento in cui altrove grandi squadre presentano conti economici da bancarotta, qui si parla di ulteriore espansione. Mi pare un buon segno», osserva Michael Pineda, caporedattore sportivo del principale quotidiano dell’Oklahoma.
Per la maggior parte degli americani, il soccer rimane un grande sport... per ragazzi. Un’ottima attività fisica, ma non uno spettacolo. Come un giro in bicicletta. Non come il Giro d’Italia.Insomma la strada della popolarità (oltre che del successo internazionale) rimane in salita. Ma questo è il paese che nelle presidenziali del novembre scorso ha dato l’ennesima dimostrazione della validità di uno dei suoi detti più diffusi: «never say never» - mai dire mai.
Nel paese dell’ottimismo e dei sogni realizzati non solo è difficile irrigidirsi nello scetticismo. Si potrebbe anche finire con una previsione sbagliata. Basti pensare a un dato di fatto: fino ai primi anni del ’900, lo sport più popolare d’America non era né il baseball né il football. Era il cricket. Insomma, tra le nuove generazioni cresciute dando calci al pallone e una popolazione di origine o cultura latinoamericana in forte crescita demografica, non è affatto detto che il soccer non ce la possa fare a raggiungere i cugini ricchi. Yes, it can.