Giuseppe Turani, Affari e finanza 29/06/2009, 29 giugno 2009
IL QUARTO CAPITALISMO SI E’ FERMATO A EBOLI
Se è vero, come è vero, che il Quarto Capitalismo è oggi la spina dorsale del paese, va anche detto che al Sud non c’è quasi. E quando c’è ha una faccia un po’ strana. La questione è posta con grande chiarezza (numeri) in un recente paper preparato dall’Ufficio studi di Mediobanca per un convegno di Confindustria. In realtà in esso è presa in esame solo la parte "bassa" del Quarto Capitalismo, le medie imprese: nel 2006 con queste caratteristiche ce n’erano in tutto in Italia 4.345. Ma è interessante andare a vedere la distribuzione sul territorio di queste medie aziende già un po’ corpose e spesso di buona qualità.
Ebbene, la grandissima maggioranza, l’80 per cento, si trova in quel territorio che viene definito come "Nec + Lombardia", in pratica tutto quello che sta dalle Marche in su con l’esclusione del Piemonte e della Liguria.
In queste due ultime regioni c’è complessivamente il 10 per cento delle medie aziende italiane. Un altro due per cento si trova nel Lazio e il rimanente 8 per cento sta nel Mezzogiorno. In sostanza, nel Sud ci sono 364 medie imprese (che scendono a 347 se si considerano i gruppi, cioè quelle che sono riunite insieme sotto un unico proprietario).
E già qui si avverte una profonda differenza fra l’area "Nec + Lombardia" e il Mezzogiorno. In pratica ogni dieci aziende presenti nell’area ne abbiamo poi una sola nel Mezzogiorno. E, ripeto, se questa è la parte più dinamica e promettente del mondo produttivo italiano, la differenza è davvero grande: 1 a 10. E bisogna anche aggiungere che queste poche medie imprese "sudiste" sono di fatto concentrate in tre sole regioni: Campania, Abruzzo e Puglia.
E qui, se si vuole entrare un po’ nel dettaglio, si notano subito delle cose abbastanza strane. Fra il 1998 e il 2007 (dieci anni) l’export delle grandi imprese italiane aumenta di quasi il 68 per cento e quello delle medie imprese di quasi il 65 per cento. Ebbene, nel Sud si ha invece (nello stesso periodo di tempo) una vera esplosione. Le medie imprese "sudiste" aumentano l’export del 127 per cento (e ancora di più fanno le grandi imprese).
Quasi il doppio di quanto è accaduto nel Nord del paese. La spiegazione è abbastanza semplice e ovvia. Le medie imprese del Sud sono partite dopo e stanno cercando di recuperare rapidamente terreno. Una volta soddisfatto il mercato locale (o quello nazionale) diventa naturale andare alla ricerca di quello estero. E per aziende "giovani" questo avviene con una maggiore intensità e forza.
In realtà, a conti fatti, per quanto riguarda l’export le aziende del Sud sono ancora abbastanza indietro. Nel loro complesso, infatti, esportano solo il 22,5 del loro fatturato. Nel Nord Est, ad esempio, siamo già invece al 36,3 per cento.
Con veri e propri abissi di differenza per quanto riguarda alcuni settori: nella meccanica, ad esempio, il Nord Est esporta il 46,8 per cento della sua produzione mentre nel Sud si arriva solo al 22 per cento. Nel comparto invece dei beni per la persona e la casa il Sud esporta ormai il 30,1 per cento di quello che fa mentre il Nord Est è solo poco più sopra (40 per cento).
Per capire, però, che c’è qualcosa che non va (e che non tutto è quello che appare) bisogna andare a vedere un’altra tabella. E quella su "tasso di imprenditorialità". In sostanza, si è andati a vedere quante "imprese" ci sono nelle varie regioni italiane ogni mille abitanti. E qui scatta la sorpresa forse più grande. Se in Lombardia abbiamo 85 imprese ogni mille abitanti, e nel Nord Est addirittura 97, nel Mezzogiorno siamo comunque a 83. In Abruzzo si arriva addirittura a 100 imprese per ogni mille abitanti (dato superiore sia alla Lombardia che al Nord Est).
Insomma, differenze annullate. Nel Sud c’è la stessa capacità imprenditoriale del Nord e, in qualche caso, è addirittura superiore.
Ecco un luogo comune italiano (il Nord più intraprendente) che viene azzerato e ribaltato.
In realtà, le cose non stanno proprio così.
E per accorgersene basta andare a vedere il numero di imprese manifatturiere ogni mille abitanti. Nel Nord sono 11, in Lombardia 12, ma nel Mezzogiorno solo 6, la metà esatta.
Il commento a questi dati è molto semplice: nel Sud c’è una fioritura di imprese rilevante, ma si tratta in gran parte di terziario, di servizi. E, probabilmente, con una seconda differenza rispetto al Nord: mentre "su" il terziario presenta ormai caratteristiche di modernità (consulenze, assistenza legale, pubblicità, ecc.) nel Sud il terziario è di tipo molto tradizionale.
Insomma, le imprese sono tante anche nel Sud, ma molto probabilmente è molto diversa la qualità.
Un altro dettaglio interessante riguarda la situazione finanziaria del mondo imprenditoriale del Sud, che è molto fragile e molto in pericolo, soprattutto di questi tempi, con il credito bancario che viene erogato con difficoltà. Se si vanno a calcolare i debiti finanziari in rapporto al capitale circolante netto, si vede che, mediamente, nel Nord Est abbiamo un rapporto del 54,3 per cento, nel Sud invece siamo al 74,9 per cento. In termini meno tecnici, questo significa che nel Nord Est metà del denaro che serve per far funzionare l’azienda è fornito dal sistema bancario, nel Mezzogiorno invece questa percentuale sale al 75 per cento. Nel Sud, cioè, tre quarti del denaro che serve per il normale funzionamento dell’azienda è fornito dal sistema bancario. E questo non è molto rassicurante. E porta, comunque, alla conclusione che il sistema imprenditoriale del Sud è ancora oggi molto più fragile e esposto di quello del Nord.
Infine, c’è un ultimo aspetto che va segnalato. E’ stato calcolato, per le diverse aree regionali, dove le imprese hanno aperto le nuove unità locali (cioè i nuovi stabilimenti o uffici): se dentro la stessa area o fuori. E si nota una costante.
Le medie imprese, di norma, preferiscono stare a casa propria. Questo fatto diventa quasi maniacaleossessivo per quanto riguarda le aziende del Nord Ovest, che dal 2000 al 2005 hanno aperto nella propria area sostanzialmente tutte le nuove unità locali. E è invece abbastanza normale nel Nord Est, dove l’85 per cento delle nuove unità locali è stato aperto nello stesso Nord Est (il resto nel Nord Ovest e nel centro, con chiusure al Sud).
La cosa è comprensibile se si pensa che un medio imprenditore preferisce muoversi sul territorio che conosce meglio e dove sa di poter trovare quello che gli serve, dall’assistenza a fornitori qualificarti e esperti, di parola.
Questa regola, che sembra ovvia, non vale per il Mezzogiorno. Fra il 2000 e il 2005 soltanto l’1,1 per cento delle nuove unità locali aperte da medie imprese del Mezzogiorno è stata localizzata nello stesso Mezzogiorno. Insomma, l’imprenditore del Sud, appena può, scappa e va altrove con le sue macchine e i suoi torni. Dove? Nell’ordine nel Centro Italia (56 per cento delle nuove unità locali "sudiste"), nel Nord Est (27 per cento) e addirittura nel Nord Ovest (15,7 per cento). E questo, probabilmente, ha una sua spiegazione: quando l’azienda "sudista" diventa grande, cresce, va a cercarsi un territorio dove sia più facile e più agevole produrre e fare affari. E dove, magari, si può tentare di non essere scambiati, appunto, per "sudisti".