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 2009  giugno 29 Lunedì calendario

COLANINNO-SABELLI, VOLO A BASSO QUOTA


Chi li conosce bene so­stiene che i rapporti fra i due non sono mai stati migliori di ades­so. I rapporti personali, s’in­tende. Ma non si potrebbe pro­prio affermare che per Rober­to Colaninno e Rocco Sabelli in questo momento tutto vada esattamente per il verso giu­sto. Che l’avventura nell’Alita­lia non sarebbe stata una pas­seggiata, per ripetere le parole di qualche influente azionista, si sapeva. Ma né il presidente della compagnia aerea, né tan­to meno l’amministratore de­legato, avrebbero immaginato di trovarsi davanti una strada tanto in salita.

Sabelli nel bunker

Dal suo bunker di Fiumici­no, dov’è chiuso anche quat­tordici ore al giorno, Sabelli non si stanca di sottolineare la sciagurata coincidenza fra il decollo della nuova Alitalia dei «patrioti» (come definì un giorno il premier Silvio Berlu­sconi i soci della cordata italia­na) e la picchiata dell’econo­mia mondiale. Ben sapendo, però, che la sfortuna non ba­sta a spiegare tutto.

Il tenore dei problemi della compagnia di bandiera è stato già efficacemente descritto sul­le colonne di questo giornale da Antonella Baccaro (Corrie­re Economia 22 giugno 2009).

Cominciando proprio da quel termine inglese, «load factor», che da mesi angoscia i vertici della compagnia e gli azioni­sti. Nel primo quadrimestre il coefficiente medio di riempi­mento degli aerei è stato del 51,4%. Il che significa che su due posti uno è rimasto sem­pre vuoto. «Il problema più grosso si registra proprio sulla Roma-Milano dove il riempi­mento è una decina di punto sotto la media», ha sottolinea­to Antonella Baccaro. Non a caso: perché nei piani della compagnia il monopolio sulla tratta più ricca, ottenuto gra­zie a una generosa deroga del­le norme antitrust, è il presup­posto del ritorno all’utile pre­visto per il 2011.

Vero è che quando la nuova Alitalia è partita, a gennaio di quest’anno, il «load factor» era al lumicino, ma il 51,4% è molto lontano dal 65% che sa­rebbe considerato accettabile.

La crisi economica ha avuto il suo peso, certamente. Ma quanto hanno inciso la disaffe­zione dei viaggiatori, vessati da ritardi continui, i voli can­cellati, la confusione organiz­zativa dovuta al fatto che i si­stemi operativi di Air One e Alitalia non si sono parlati per sei mesi, la concorrenza del­l’alta velocità ferroviaria, e i prezzi? Ce ne sarebbe abba­stanza, in questi primi sei me­si di «passeggiata», per far stor­cere il naso non soltanto ai viaggiatori ma anche a qual­che azionista che non si era ben reso conto del guazzabu­glio nel quale si sarebbe infila­to.

E magari, sostiene malizio­samente chi non ha mai ap­prezzato il modo in cui è stato condotto il salvataggio della compagnia di bandiera, per mettere a dura prova il rappor­to del duo Colaninno-Sabelli.

Del resto, i pri­mi difficili mesi hanno già fatto venire al pettine alcuni nodi, che all’inizio di tutto forse erano stati liquidati con troppa sufficien­za. Per esempio , quello della qua­lità e dell’effi­cienza dei servi­zi dell’aeroporto di Fiumicino, che secondo Sa­belli di sicuro non hanno atte­nuato le oggetti­ve difficoltà di start up della compagnia di bandiera. Tanto più in considerazione del fat­to che che la società di gestio­ne di quei servizi si chiama Ae­roporti di Roma e ha come azionista di riferimento il
Igruppo Benetton, uno dei «pa­trioti » della Cai-Alitalia. Non l’unico a essere contempora­neamente socio della compa­gnia aerea e dell’azienda aero­portuale: c’è anche Salvatore Ligresti.

Se da un azionista fosse leci­to attendersi qualcosa di più, lo lasciamo decidere ai lettori. Ma con certezza questo nodo è particolarmente intricato. Dettaglio non trascurabile, ol­tre a essere for­nitore di Alita­lia e avere lo stesso azioni­sta, Aeroporti di Roma figura anche nella li­sta dei credito­ri della vecchia Alitalia, da cui deve avere una cifra importan­te: 40 milioni di euro. Soldi che però difficil­mente vedrà. Scontato che punti a far ren­dere al massi­mo la sua particolare posizio­ne. Entrando però talvolta in rotta di collisione con Sabelli, poco incline a concedere tutto e comunque agli azionisti.

I muscoli del manager

Episodi marginali, che han­no però rafforzato in qualcu­no l’idea di un amministrato­re delegato forse troppo mu­scolare. Idea, peraltro, che già si era fatta strada subito dopo i primi ruvidi contatti fra la nuova gestione e i sindacati.

Anche se a Sabelli non sareb­be mai venuto meno il soste­gno pieno di Corrado Passera, l’amministratore delegato di Intesa San Paolo che l’ha volu­to a capo di tutta l’operazione ben prima dell’arrivo di Cola­ninno.

Non che il patron della Piag­gio non abbia un carattere de­ciso, ma il suo ruolo di rappre­sentanza lo mette evidente­mente su una posizione diver­sa. Anche per questo motivo, probabilmente, Sabelli ha sen­tito il bisogno di rimarcare una chiara distinzione di ruo­li, mettendo al proprio fianco un fedelissimo come Giusep­pe Sammartino, con il quale a lungo aveva lavorato a Tele­com Italia, a capo del proprio staff. Di fatto, anche con un ruolo di comunicazione. Tut­to questo in una compagnia dove quella funzione è delega­ta a Colaninno, che tra l’altro la esercita attraverso un’ogget­tiva stratificazione di compe­tenze, sempre complicata da risolvere quando due diverse aziende si devono integrare.

Altro nodo non secondario, il ruolo di Air France. Sabelli ha ben chiaro che il vero pro­blema dell’Alitalia è la scarsa capacità di generare ricavi. E non soltanto in Italia. Le aspet­tative su alcune rotte sono an­date deluse, al punto che qual­che maligno ha messo in giro la voce di una possibile cancel­lazione della Roma-Chicago.

Così stringere sempre di più i rapporti con Air France, che ha la rete più estesa al mondo, è apparsa a Sabelli una via da percorrere con deci­sione, facendo leva sulle sue ottime relazioni con l’ammini­stratore delegato Pierre-Henri Gourgeon. Anche se non tutti, a Fiumicino, manifestano identico calore nei confronti della compagnia francese. Do­ve le quotazioni dell’interlocu­tore di Colaninno, Jean-Cyril Spinetta, sono oggi piuttosto in ribasso. Quando si dice il ca­so...