Giacomo Ferrari, Corriere economia 29/06/2009, 29 giugno 2009
MARCHIONNE ALLA PROVA DELLE FABBRICHE ITALIANE
Nessuna fabbrica chiusa, ma ricorso pesante agli ammortizzatori sociali. E, per quanto riguarda lo stabilimento siciliano di Termini Imerese, che con quello di Pomigliano d’Arco in Campania era considerato tra quelli maggiormente a rischio, si andrà verso una riconversione produttiva. Non più auto, ma (forse) componentistica. La Fiat non vuole aggiungere altri dettagli a quanto l’amministratore delegato Sergio Marchionne aveva detto giovedì 18 giugno nel corso del vertice a Palazzo Chigi con il Governo, i sindacati e i rappresentanti delle Regioni dove hanno sede i siti produttivi.
Chiudere a Imola
Nel frattempo, però, è stata presa un’altra decisione importante, che in realtà non riguarda l’auto ma Cnh, la consociata attiva nelle macchine per le costruzioni e per l’agricoltura. Ai sindacati è stato comunicato che lo stabilimento di Imola, nel quale sono occupati 500 lavoratori, sarà chiuso entro due anni. Una misura imposta dal crollo dei mercati. Quello delle macchine movimento terra, ha detto Marchionne, è letteralmente «colato a picco» nel primo trimestre di quest’anno, mentre «la domanda di trattori e mietitrebbia è scesa rispettivamente del 10 e del 23%». E pochi giorni fa il segretario nazionale della Fiom-Cgil Giorgio Cremaschi ha detto di aspettarsi in prospettiva un sacrificio di 8-10 mila lavoratori complessivamente, comprendendo anche quelli a tempo indeterminato (ai quali non è stato rinnovato il contratto) e quelli dell’indotto. Si tratta sostanzialmente della stessa cifra di esuberi che era emersa nel corso della trattativa con Opel. Con la differenza che, in caso di aggregazione con la casa tedesca, i tagli sarebbero avvenuti parte in Italia e parte in Germania.
La situazione, insomma, non lascia spazio all’ottimismo. «La verità è – sono sempre parole di Marchionne – che diventa quanto mai necessaria una seria ristrutturazione dell’industria dell’auto, se vogliamo portarla a un livello di sostenibilità economica».
Una ristrutturazione non soltanto aziendale, ma globale. Di cui le alleanze sostenute dall’amministratore delegato della Fiat rappresentano un passaggio obbligato.
«Un messaggio hard»
«Dentro un discorso soft, un messaggio hard». La metafora informatica, riferita all’intervento di Marchionne, usata da un sindacalista dopo l’incontro di Palazzo Chigi, riassume abbastanza bene il carattere dell’amministratore delegato della Fiat, abituato ad affrontare i problemi senza alzare la voce ma con determinazione.
E anche a mantenere gli impegni. Ebbene, le fabbriche italiane, stando al piano Marchionne (che scade però il prossimo anno) non dovrebbero per ora correre rischi. Pur ridimensionate, sopravviveranno. Salvo, appunto, Termini Imerese, dove oggi si produce la Lancia Ypsilon, destinata ad un altro sito.
Con la sfida americana che si è conclusa positivamente, almeno nelle premesse; quella tedesca (la conquista del marchio Opel) per il momento sembra persa, anche se i giochi potrebbero riaprirsi, adesso, per Sergio Marchionne, la scommessa è tutta italiana. E potrebbe trasformarsi nell’esame più difficile per il manager italo-canadese che fino a questo momento ha collezionato più vittorie che sconfitte, conquistando addirittura la fiducia del presidente Usa Barack Obama. La sovracapacità produttiva dell’industria automobilistica di cui ha parlato la scorsa settimana John Elkann al convegno Aspen riguarda però anche la stessa Fiat e in particolare i suoi cinque stabilimenti italiani. Insieme, infatti, le catene di montaggio di Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi e Termini Imerese possono sfornare circa 940 mila vetture all’anno. Ma nel 2008 la produzione totale non è andata oltre le 630 mila unità, poco più di due terzi del potenziale. In percentuale, l’utilizzo degli impianti rispetto all’anno precedente (vedere grafico) è migliorato nel 2008 soltanto a Cassino e Mirafiori, dove si concentrano i modelli di maggiore successo, dalla Grande Punto alla Bravo, dalla Croma alla Delta, mentre è calato considerevolmente a Melfi (dal 77 al 65%), a Pomigliano (dal 78 al 64%) e a Termini Imerese (dall’82 al 71%).
In fondo al tunnel
Si va dunque verso un inevitabile ridimensionamento.
Anche se i segnali positivi, per quanto riguarda Fiat, non mancano. In Germania e in Francia, per esempio, i risultati sono stati sorprendenti. Sul mercato tedesco nei primi cinque mesi dell’anno le vendite sono più che raddoppiate, permettendo alla casa italiana di collocarsi al primo posto fra gli importatori che operano nel Paese, mentre in Francia sono cresciute del 12,8%. E anche in Italia il Lingotto sta facendo meglio del mercato. Tra gennaio e maggio, ha detto ancora Marchionne, «mentre la domanda è scesa del 14,7%, il gruppo è riuscito a limitare il calo all’11% e ad aumentare la quota di penetrazione al 33,3%, un punto e mezzo in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso ». Tutto questo grazie anche alla «svolta ecologica»: le vetture a metano e gpl «hanno raggiunto livelli record».