Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 29 Lunedì calendario

LA PARTITA DOPPIA DI CASA SEGRE


Il segno evidente della di­scontinuità è nei capelli lun­ghi. In una Casa dove la tra­dizione è un valore e l’impe­rativo è tacere, dove ancora oggi, anno nono del terzo millennio le impiegate vestono il grembiule nero e per farsi notare basta la­sciar cadere una matita dal tavo­lo, neppure il più facoltoso dei clienti avrebbe osato un taglio si­mile. Invece, quello che ieri si sa­rebbe criticato – un look osé tri­cologicamente parlando – al­l’improvviso è divenuto la chia­ve per ridiscutere se non tutto, certamente molto: principio di monacale e quasi anacronistica riservatezza, cautela, anche qual­che antico rapporto che sembra­va a prova di guerra (finanzia­ria), come quello con i soci stori­ci di Banca Intermobiliare, le fa­miglie torinesi D’Aguì, Giovan­none, Scanferlin.

La vicenda che lega l’universo professionale di Franca Bruna in Segre a Danilo Coppola richia­ma accostamenti arditi: se non le convergenze parallele di Aldo Moro almeno le vicinanze lonta­ne di Aleksandr Pasternak. E tut­ta Torino non riesce a dare una risposta compiuta alla domanda di base: perché?

Dubbi

Perché la riservatezza fatta isti­tuzione avrebbe dovuto sposare lo schiamazzo di uno dei più esi­biti protagonisti dell’estate del 2005, quella dei furbetti del quar­tierino? Ci sono alcuni riscontri oggettivi. Il turbinio di compra­vendite che ha visto protagonisti Coppola e Luigi Zunino – l’uo­mo di Risanamento che oggi ri­schia di affogare in un mare di debiti maturati tra Sesto San Gio­vanni e Milano Santa Giulia – ha generato laute commissioni ai Segre e a Bim, la Banca Inter­mobiliare – solo 29 sportelli ma un’elevata specializzazione nel­la gestione delle ricchezze – da sempre presidio della famiglia. Può bastare questo a spiegare? Certamente aiuta, ma non chiari­sce del tutto. Perché il gioco che parte dagli immobili contenuti nell’Ipi per arrivare all’opa sulla M&C fondata da Carlo De Bene­detti ha ancora troppi lati oscuri. Troppe vicinanze lontane, ap­punto, troppi contrasti.

Rapporti

Come spiegare ad esempio l’insolita presenza al battesimo della primogenita di Coppola di Pietro D’Aguì, l’amministratore delegato di Banca Intermobilia­re, nel ruolo di padrino della bimba? E come mai lo stesso Coppola ha denunciato nei mesi scorsi D’Aguì per truffa aggrava­ta prima di ritirare l’azione lega­le? Non risultano, nella pluride­cennale storia della Casa, episo­di simili. E lei, la signora della fi­nanza torinese? Lei, di cui l’uni­ca indiscrezione trapelata in de­cenni di serissimo lavoro è il rap­porto consolidato con l’ingegne­re Carlo De Benedetti, lei, savo­nese di nascita, 83 anni il prossi­mo 27 ottobre, che si è lasciata pubblicamente sfuggire che Da­nilo Coppola ai suoi occhi è «co­me un figlio»? Suvvia, più di qual­cuno è caduto dalla seggiola, al­tro che matite. Un figlio? E quel­lo vero, Massimo Segre, consi­gliere di Bim, Cir, Cofide e Borsa Italiana, come ci sarà rimasto lui, appassionato di scacchi, nel­l’essere avvicinato al Danilo del quartierino? Un accostamento ir­rispettoso e ironico, se a promuo­verlo non fosse stata la mamma.

Le cifre

I numeri, in banca, sono al centro di tutto e quando il cer­chio si stringe si arriva a un ac­cordo: era la fine di marzo e Bim dopo anni di attese – pressata da un impegno preso con Vene­to banca, azionista al 40 per cen­tro della controllante Cofito a vendere la partecipazione in Ipi senza effetti sui propri conti – decide di escutere il pegno sul 29,3 per cento di Ipi a garanzia di crediti per 55 milioni di euro e di lanciare l’opa sulla società a 1,3 euro per azione. Il prezzo è basso, l’opa va quasi deserta.

Ma passano poche ore e scatta un’altra opa. Stavolta non è Bim ma direttamente la famiglia Se­gre a scendere in campo, attra­verso le società Mimose e Ipi Do­mani.

L’offerta è a 1,9 euro per azione, che valgono 34 milioni a Coppola (aveva il 25,08 per cen­to di Ipi) e 70 milioni ai soci e manager Mario Scanferlin, Pie­tro D’Aguì e Gianclaudio Gio­vannone (controllavano il 50,8 per cento). Nei fatti una liquida­zione. Negli stessi infuocati gior­ni Coppola riesce anche a vende­re due palazzi a Milano (via Manzoni e via Montenapoleo­ne), alla stessa famiglia Segre, che mette sul tavolo 14,5 milioni e subentra nel leasing con Italea­se per altri 70 milioni. Italease fa capo al Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti, esposto per circa 430 milioni nei confronti di Coppola grazie alle spericola­te avventure della Banca Popola­re di Lodi, poi «salvata» dal Ban­co. Ma in questo modo anche Ipi è «salva», anche se si profila un cambiamento del manage­ment (già si fanno i nomi del so­stituto del presidente e ammini­­stratore delegato Franco Tatò) e il delisting . Soprattutto è salvo il suo contenuto di mattoni e, se­condo alcune interpretazioni maliziose, i patti sottesi prevedo­no che a questo punto, realizza­ta l’opa, Coppola venga «liquida­to » con la proprietà di Porta Vit­toria, i terreni milanesi ad alta potenzialità di sviluppo un tem­po di Zunino.

Il confronto

Il centro della vicenda è qui. Qui si consuma la frattura tra i Segre e gli altri storici soci di Bim. Su una questione di oppor­tunità. Di guadagno. Sulla scriva­nia della signora Segre si schizza­no due conti: la signora control­la il 15 per cento di Cofito, la compagnia finanziaria torinese che possiede il 50,02 per cento di Bim. In Borsa Banca Intermobi­liare vale circa 500 milioni di eu­ro di capitalizzazione. Il 15 per cento di 250 milioni (ovvero il 50 per cento della capitalizzazione) sono poco meno di 38 milioni di euro. Ipi evidentemente rappre­senta agli occhi dei Segre valori diversi. Estremamente diversi. Anche scorporando Porta Vitto­ria, «promessa» a Coppola, c’è il torinese Lingotto e altre appetito­se proprietà immobiliari dentro quella che un tempo era la cassa­forte di casa Agnelli. Il conto in­somma è presto fatto, il ragiona­mento anche. I comportamenti sono conseguenti. E pazienza se si finisce in minoranza nella ban­ca di casa.

Coincidenze

Gli aspetti singolari di questa vicenda, al di là delle definizioni e dei rapporti personali sta anco­ra una volta nei numeri. La pri­ma offerta per Ipi a 1,3 euro per azione aveva il potere di sconten­tare tutti. Il successivo rialzo a quota 1,9 corrisponde al valore di carico di quelle azioni nel bi­lancio di Banca Intermobiliare più tre centesimi. Proprio come voleva Veneto banca. Resta, in questa parte della finanza torine­se, la frattura, netta, tra il passa­to e il futuro. Negli uffici di Casa Segre, in via Valeggio, quartiere Crocetta, Torino-bene, si annun­cia un futuro nel segno della di­scontinuità.