Maria Giulia Minetti, La stampa 28/06/2009, 28 giugno 2009
WINTOUR, LA VERITA’ SUPERA IL FILM
LA Vogue Italia
L’edizione italiana di Vogue è stata creata nel 1965. La rivista è attualmente diretta da Franca Sozzani. Celebre il suo recente attacco alle veline di Striscia la notizia: «Rappresentano un certo modo di fare tv, un certo modo di raffigurare le donne in televisione. Ma io, a questo genere di televisione, preferisco mille volte la Annunziata». Pronta la replica delle dirette interessate: «Non c’è nulla di più volgare dell’avere pregiudizi e stereotipi. Siamo decisamente più vestite di certe modelle che appaiono su Vogue».
Il cinema
Anche se ufficialmente tutti negano che vi sia un legame diretto tra finzione e realtà, «Il diavolo veste Prada», uscito nel 2003, è chiaramente ispirato alla figura di Anna Wintour. Anche perché la pellicola è tratta dall’omonimo romanzo scritto da Lauren Weisberger che anni fa è stata l’assistente personale di Anna Wintour. La vicenda narra la storia di una giovane assistente al servizio della perfida direttrice della più importante rivista di moda al mondo, svelandone capricci e debolezza.
E’ andato a Mario Tozzi con «Gaia, un solo pianeta. Quale futuro ci attende» (De Agostini) il settimo premio AcquiAmbiente, una «clonazione» in chiave ecologista del più noto AcquiStoria. Ex aequo con Tozzi, Augusto Grandi con «Lassù i primi. La montagna che vince» (Daniela Piazza Editore). Quest’anno il premio speciale alla carriera Ken Saro Wiwa è stato assegnato a Folco Quilici. Ieri pomeriggio ad Acqui Terme, nel parco di Villa Ottolenghi, la consegna dei riconoscimenti. Mario Tozzi ha spiegato che «nel libro ho voluto raccontare come le condizioni ambientali influiscano sulle società umane: sono trattate sia le guerre che i fenomeni migratori umani. Si parla dei profughi del clima che cambia come della della guerra in Iraq per il petrolio».Pochi di voi avrebbero mai pensato a un paragone tra Anna Wintour, la direttrice di «Vogue America» un tempo leggendaria solo fra i cultori della moda, ora celebre anche presso il vasto pubblico per via del successo dell’accoppiata «Il diavolo veste Prada» libro + film con Meryl Streep nella parte della Wintour, appunto, a pochi, dicevamo, sarebbe mai saltato in mente di paragonare l’esilissima - ma scheletrica è un aggettivo più vicino al vero - signora Wintour a quel mostruoso viluppo di muscoli turgidi chiamato Mike Tyson.
Adesso che vi ho suggerito l’accostamento magari qualche spettatore del film o lettore del libro penserà alla capacità di entrambi di accanirsi sull’avversario, alla spietatezza sui rispettivi ring, pugilistico l’uno, fashionistico l’altro. Un’ottima idea e una metafora felice, ma il paragone di cui volevo parlarvi è tutt’altro. L’ha instaurato la giornalista americana Karina Longworth che scrive su «The Daily Beast», il giornale on line fondato e diretto da Tina Brown, ex direttrice di «Vanity Fair», ex direttrice del «New Yorker», inglese come Wintour e che contende alla medesima Wintour il titolo di giornalista inglese più famosa degli Usa.
Il titolo di più fortunata, invece, lo tiene saldo in pugno la pluriventennale direttrice di «Vogue» (è in sella dal 1988), perché Brown dopo la chiusura nel 2002 del suo mensile «Talk» ha corso molti rischi di carriera, e il «Daily Beast» è, dicono, la sua ultima scommessa. Insomma, potrebbe anche darsi che il paragone fra Tyson e Wintour suggerito dal giornale - un paragone che si risolve a favore del pugile, come vedremo - sia ispirato da un sentimento non caloroso verso la collega, ma, se me lo chiedete, non ci credo. Perché ho fatto un giro di telefonate, e l’opinione del «Daily Beast» è condivisa.
Racconta dunque il «Beast» che al Sundance Festival di quest’anno due documentari biografici hanno attratto soprattutto l’attenzione: «Tyson» firmato da James Toback (l’abbiamo rivisto a Cannes) e «The September Issue» di R. J. Cutler, un regista specializzato in reality televisivi. Quest’ultimo, che segue la preparazione del numero di settembre di «Vogue» (è il numero più importante dell’anno: ricomincia la stagione, affluisce tutta la nuova pubblicità), non solo ha come protagonista la direttrice dell’importante mensile, ma ne ha anche la benedizione. Insomma, è una «authorized biography» come di dice dei libri, una biografia - seppur limitata a un breve periodo - autorizzata.
Chi va a vedere oggi «The September Issue» (è appena uscito in America), pur senza fare il paragone con «Tyson» giunge a conclusioni analoghe a quelle della giornalista Karina Longworth. E cioè che questo ritratto autorizzato rende alla signora Wintour un servizio forse peggiore di quello non autorizzato offerto da «Il diavolo veste Prada». «Non solo conferma la sua attitudine brusca, fredda, affaristica a spese della sensibilità - scrive Longworth -. Ma i continui scorci sul viso e i primi piani le nuocciono: la faccia è assai più sciupata di quanto appaia nelle foto (e qui scocca il bacio della morte, ammettiamolo)». Il documentario su Tyson, riferisce la giornalista, ha l’effetto opposto: si esce pensando che il pugile, protagonista di un lungo monologo apologetico, sia molto meglio della sua fama e meriti senz’altro un’altra occasione.
A onor del vero, chi ha visto «The September Issue» lo considera comunque una conferma del carisma professionale di Anna Wintour, della sua efficienza, dell’indispensabilità dei suoi interventi direttoriali, ma se il documentario voleva suggerire che anche la glaciale signora ha un’anima, be’, non c’è riuscito. «Con tutta la sua cattiveria, il personaggio di Wintour nell’interpretazione di Meryl Streep suggeriva, dopotutto, l’esistenza di una vita interiore, l’idea che, se si fosse scavato un bel po’, si sarebbe riusciti a portarla alla luce - racconta uno spettatore -. Qui no. Forse perché manca una sceneggiatura spiritosa».
Fredda la Wintour e poco attraente, la stella del film risulta a sorpresa la sua direttrice creativa Grace Coddington, una rossa di mezza età straordinariamente brillante, intuitiva, feconda di idee, comunicativa. Inglese pure lei, ha però una storia romanzesca alle spalle, con una giovinezza da modella celebre e contesa. Poi un pazzo la sfregia, lei non può più posare, non si perde d’animo e raggiunge la moda fuori della passerella. Collabora coi fotografi più famosi a servizi magnifici, è design director da Calvin Klein quando nel 1995 Wintour la vuole a «Vogue», da cui non si è più mossa. L’anima del film è lei, dicono. Ma chi comanda è Wintour. Nessun dubbio, dal primo fotogramma all’ultimo.
Vogue Usa
Vera Bibbia della moda internazionale, la rivista è diretta da 17 anni da Anna Wintour. Il periodico, fondato da Arthur B. Turnure nel 1892, è stato acquistato dal gruppo Condé Nast nel 1909. Sulle pagine di Vogue hanno pubblicato foto di moda alcuni tra i migliori fotografi del mondo: tra gli altri Man Ray, Bruce Weber, Horst P. Horst, Patrick Demarchelier, David Bailey, Herb Ritts, Helmut Newton, Richard Avedon. Oggi Vogue annovera undici edizioni in diversi paesi, e riviste satellite come L’Uomo Vogue, Vogue Gioiello, Vogue Bambini.