Bruno Ventavoli, La stampa 28/06/2009, 28 giugno 2009
JOBBIK, LE RONDE SUL DANUBIO
Pur essendo euroscettici, hanno mandato a Bruxelles tre deputati. Tuonano contro la globalizzazione e la criminalità rom, sono antisemiti e populisti, combattono il grande capitale e sognano il ritorno della Grande Ungheria. Jobbik, l’estrema destra magiara, dilaga nei consensi e preoccupa il mondo occidentale. Con la caduta del Muro tutti s’aspettavano l’alba della democrazia sul Danubio. Invece, dicono allarmati gli intellettuali, rinasce il fascismo. Qualcosa non ha funzionato.
Ma cos’è questo «fascismo» ungherese? Chi sono gli uomini e gli elettori di Jobbik, il «Movimento per l’Ungheria migliore»? In ungherese «jobb» significa sia «destra» che «migliore». E dato che nomen est omen promettono di ridare fiducia e orgoglio a una nazione messa in ginocchio dalla crisi economica mondiale. Quattrocentomila disoccupati (9,1%), debito pubblico fuori controllo, sono fondamentali difficili da gestire. E il fragile governo socialista di Gordon Bajnai, bastonato alle europee, sembra impotente. La politica di austerità e tagli sociali non fa che alimentare scontento. Jobbik offre ricette populiste, forse insufficienti a rimettere i conti in sesto. Ma le 600 mila famiglie che non riescono a pagare il mutuo, l’elettorato disilluso, i pensionati che non arrivano a fine mese, i cittadini spaventati dalla criminalità, probabilmente hanno bisogno di questo.
Nostalgia e religione
Jobbik è nato nell’ottobre 2004. Si proclama «orgogliosamente nazionalista ma non sciovinista». E’ un misto di risposte aggressive ai mali della modernità e di richiami al passato. Non a caso il suo programma è dedicato a Gábor Bethlen, principe di Transilvania. La sua grandezza, a fine ”500, è ancora un’ottima medicina contro i disastri della modernità corrotta. «Il nostro passato è la nostra primavera». Si rivolge a tutti gli ungheresi, nemico sia dei socialisti sia dei neoliberisti. Si presentò pubblicamente nel 2003 con l’esposizione di una grande croce, per sottolineare la fedeltà alla tradizione cristiana inaugurata da Santo Stefano nel 1001. Erano quattro gatti. Nessuno li prese sul serio, a parte il vescovo che benedisse la croce.
Vorrebbero la nazionalizzazione delle industrie strategiche, basta liberalizzazioni, salari sociali, aiuti alle famiglie, pena di morte, una statua per il reggente Horthy, tasse più eque, meno America e naturalmente più autonomia per le minoranze ungheresi all’estero. In cinque anni è diventato il terzo partito con il 15%. Sembrava venuto dal nulla, ma non è così. E’ riuscito a toccare il cuore dell’elettorato, facendo appello alla storia millenaria, alle tante ferite subite e mai sanate.
Contro le violenze sulle donne
Il loro successo ha due volti. Un uomo e una donna. Gábor Vona, 31 anni. «L’Ungheria - dice - è stata svenduta, la situazione della nazione è tragica, i nemici da combattere sono le multinazionali, i rom, e i comunisti». Lei è Krisztina Morvai, 46 anni, bionda, carina, pugnace negli slogan. S’è battuta contro la prostituzione, in un Paese che pullula di battone e di ragazze che sono carne da copula per l’industria dell’hard. Come avvocato ha difeso in un processo molto mediatico una 14enne che aveva ucciso nel sonno il padre adottivo violento. La piccola assassina è stata condannata ma ha ottenuto la grazia, scoperchiando l’inferno domestico delle donne in Ungheria. E lei, Morvai, ne ha tratto spunto per promettere migliorie anche alla casalinghitudine umiliata. Non ama le multinazionali, cui vorrebbe far pagare più tasse, anche se gli investimenti stranieri sono manna per la dissestata economia, e non ha simpatia per Israele che non rispetta i diritti umani nei Territori. «E noi faremo la stessa fine dei palestinesi, privati della nostra terra in casa nostra». Promette che si impegnerà a Strasburgo per impedire che gli stranieri comprino a man bassa terreni agricoli in Ungheria. Può sembrare demagogicamente antieuropeo. Ma il problema esiste. Con il fiorino dimezzato, le case e i terre hanno prezzi irrisori per uno straniero che compra in euro. Con annesso rischio del riciclaggio di denaro sporco criminale.
Altro cavallo di battaglia di Jobbik è la lotta alla criminalità rom. Chiedono di ripristinare l’antica gendarmeria per affrontarla efficacemente. Sul loro sito offrono una mappa dettagliata dell’Ungheria, segnalando borgo per borgo, gli episodi criminosi avvenuti negli ultimi 18 mesi. Rapine, stupri, rapimenti, omicidi (l’episodio più grave è stato l’uccisione di Marian Cozma, famoso giocatore di pallamano, accoltellato da un rom davanti a una discoteca). I rom sono una minoranza molto numerosa 600mila (il 6% della popolazione, la più alta percentuale d’Europa). Sono la storia dell’Ungheria, non c’è romanzo dell’800 in cui non appaiano violini «cigány». Ai tempi dell’Urss i rom sono stati integrati nelle fabbriche, hanno loro deputati, programmi di assistenza, aiuti per gli studi. Ma con la fine del comunismo, la ristrutturazione delle grandi aziende di stato, essendo la manodopera meno qualificata, si sono ritrovati a spasso, ai margini della società.
Uniformi nere
Gábor Vona, è stato tra i fondatori, nel giugno 2007, della «Guardia ungherese», un corpo che ha come parola d’ordine «Fede Forza Volontà». Vestiti di nero, come le Croci frecciate di Szalasi, ma disarmati, si ritengono la spina dorsale della nazione, il baluardo contro la criminalità, un simbolo concreto di ordine. Lo spirito non è dissimile dalle nostre ronde. E spesso li si vede nei paesi dove la tensione con le minoranze rom è più acuta a guardare in cagnesco le bande avversarie. Li sospettano di aggressioni e attentati contro i rom (anche mortali), ma non ci sono mai state prove concrete del loro coinvolgimento. Un tribunale lo scorso anno li ha sciolti. Ma loro continuano a marciare in pubblico, nonostante i divieti e gli scontri con la polizia, che si concludono con arresti. E molti ungheresi cominciano a guardarli con favore. Ci sono addirittura politici locali che vorrebbero chiamare la Guardia a cacciare i delinquenti noti: naturalmente il rimedio rischia di essere peggiore del male, perché non fa che aumentare la tensione.
Dalle sfilate della Guardia alle feste popolari en plein air con famigliole che non hanno nulla di estremistico, in mezzo alle bandiere, spuntano sempre gli antichi vessilli con i contorni dell’Ungheria storica com’era e com’è adesso. Dopo l’ingiusto trattato del Trianon, pezzi di storia e di cultura furono amputati dalla patria. Kassa, la città dove è nato Márai, uno dei più celebri autori ungheresi, tanto per fare un esempio è oggi in Slovacchia. E per decenni le minoranze ungheresi sono state maltrattate, private di diritti, ostacolate nella lingua. Ceaucescu ha mandato migliaia di oppositori dell’intellighenzia ungherese a morire nei campi di lavoro lungo il canale Danubio-Mar Nero. Certo, oggi, c’è l’Europa unita. Ma capita che in Slovacchia arrivi in parlamento un partito il cui leader sostiene apertamente che Budapest dovrebbe essere rasa al suolo dalle bombe. E che i fratelli ungheresi oltre confine vengano ancora insultati dagli altri nazionalisti. L’estrema destra ungherese trova consensi anche per questo.
Il trattato di Trianon
Dopo la fine della prima guerra mondiale l’Ungheria venne ridotta a un terzo dei suoi territori storici. E 3 milioni e 400 mila ungheresi si trovarono fuori dai confini, in Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia. Alcuni persino in Austria.2
La Guardia Ungherese
Fondata nel 2007, porta lo stemma con i leoni di re Imre I sulla divisa nera. Non sono armati. Il motto è «Fede, forza, volontà». In prima fila nelle ricorrenze tragiche della storia, dalla sconfitta della guerra antiasburgica del 1848 all’insurrezione del 1956.Gli emblemi di Árpád
il mitico condottiero che portò i magiari alla conquista della Pannonia nell’896. Il suo vessillo, simbolo d’orgoglio nazionale, è a strisce rosse e argento. Con il Turul, l’uccello sacro, c’è anche la croce della corona di Santo Stefano.