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 2009  giugno 28 Domenica calendario

ZIMBABWE IL SANGUE SCORRE SUI DIAMANTI


Dove sono i diamanti? Laggiù dove la foresta, scolorita e rovinata, fa come un gigantesco scalino, un paesaggio immoto, monotono, disegnato una volta per tutte. I diamanti: solo che adesso ne puoi soltanto parlare. Guai ad avvicinarsi, a Chiadzwa: i soldati di Mugabe hanno umori saturnini, sparano. Ari è stato fortunato, è uno di quelli che erano laggiù prima, quando si diventava ricchi.
Tempi bruciati, adesso vive di nuovo a Mutare, è tornato al suo vecchio mestiere, rubare telefonini, e quando si può un po’ di mercato nero. In Zimbabwe se non sei a fianco di Mugabe, e in prima fila, è difficile conservare il portafoglio pieno. E’ annoiato come un pipistrello. Ma gli occhi si fanno golosi e la lingua schiocca quando rievoca l’epoca in cui è stato trafficante di diamanti, l’unica gloriosa della sua vita. Ne parla con l’angoscia dell’intossicato a cui sia sta tolta la droga. Quando la zia arrivava in città dal villaggio era sempre una festa: i campagnoli sono furbi, riescono a nascondere qualcosa di prelibato anche quando c’è la carestia. E la zia era generosa con loro. A dire la verità quella volta li aveva delusi. Ma come! Pativano la fame, i supermercati erano vuoti e lei arrivava con una bacinella piena di pietre sporche! E insisteva: guarda che con queste pietre diventi ricco, sono diamanti e da noi si raccolgono per terra.
Una manna insperata
Dal libanese c’era andato quasi per scherzo: altro che diamanti, quelli brillano, anche un bambino li distingue. Ma il libanese trafficava in tutto, con quelle pietre forse poteva fabbricare collane. Ecco: una birra, non più, si aspettava come guadagno dal regalo della zia. E invece quando uscì barcollando per la gioia aveva in tasca 2000 dollari e di quelli buoni, americani, non la cartaccia sudicia di Mugabe. E il libanese, con quella faccia da sciacallo allegro, che si scappellava, lo trattava da nababbo, non la smetteva di chiedere: ma dove li hai trovati? Ne hai ancora? Facciamo società… Maledetto! Allora pensava di essere diventato ricco e non si era accorto che ricco era diventato il libanese, già, perché il regalo della zia valeva almeno dieci volte di più.
Era partito il giorno dopo, per Chiadzwa: quella savana impolverata gli sembrava bella come i giardini di Semiramide. Si era sentito male quando aveva scoperto che i paesani da secoli li usavano, i diamanti grezzi della miniera, come proiettili delle loro fionde bibliche per dare la caccia agli uccelli!
In 15 mila a scavare
Ari, certo, non era solo a scavare e raccogliere: la voce che nella regione di Marange c’erano i diamanti aveva iniziato a correre. E a cento all’ora, la cosa era sempre più attraente via via che cresceva la miseria. A centinaia, a migliaia perfino dalla capitale erano arrivati i cercatori. Un pugno di piccolissime pietre nere con i bordi rosati significava dieci, dodici dollari, l’equivalente di uno stipendio di un mese; quando lo stipendio c’era, visto che l’ottanta per cento degli abitanti erano disoccupati. Almeno quindicimila persone erano venute a cercare fortuna, dal 2006 quando la voce si era diffusa.
Ma c’era posto per tutti: a decine di chilometri da Chiadzwa i diamanti li trovavi ancora per terra, nei giacimenti alluvionali come li chiamano i geologi. Ci sono reduci di allora che raccontano con gli occhi lustri di essersi fatta la casa con una pietra di buone dimensioni. I compratori li trovavi a Mutare, in un bell’albergo con le camere a cento dollari la notte. Anche per loro all’inizio era una bella vita, si pagava a questo proletariato diamantifero con tutto, cibo benzina elettrodomestici. Ma era gente del posto, come Ari, più furbi degli altri che si erano messi in proprio e non sudavano più nelle ore canicolari della savana. Poi è stata la volta dei grossi, i professionisti: israeliani libanesi persino i congolesi avidi e feroci, pagavano in dollari americani e poi le pietre passavano la frontiera del Mozambico. Lì c’erano battelli che li portavano discretamente a Dubai, in India, ad Anversa. E le leggi internazionali che regolano la vendita dei diamanti per evitare che finanzino le guerre? Sono favole per tener buoni gli occidentali che hanno sempre qualche scrupolo di coscienza.
Arrivano gli inglesi
Poi sono arrivati gli inglesi, «African Consolidated Resouerces»: avevano scoperto che quella era la più grande scoperta diamantifera della storia recente. Presero la concessione. Ma lasciavano fare, sfruttavano il giacimento principale e lasciavano in pace i piccoli minatori. Centinaia di milioni di dollari se ne sono andati così, senza controllo. E non era che il dieci per cento del vero valore delle pietre. Certo attorno alla miniera c’era sempre la miseria, ma almeno migliaia di famiglie sono sopravvissute agli anni bui di Mugabe con quel lavoro di termiti. I guai sono cominciati quando finalmente anche il governo si è accorto che stavano spolpando quella manna come le formiche spolpano un osso, nel dicembre scorso. E ha dato subito la caccia ai minatori abusivi: almeno 150 morti, qualcuno racconta nei bar di Mutare. Eccolo qua il solito vecchio Zimbabwe, dove la gente non è che un punto interrogativo.
Il governo vuole tutto
Il governo di Harare si indigna, nega, parla solo di «una azione di polizia per mettere ordine nella regione». Ora i minatori si accontentano delle briciole. Le pietre grosse ormai sono monopolio dei generali e dei notabili del regime, ovvero sempre del solito Mugabe. Che ha dovuto accettare sotto le pressioni internazionali il suo rivale Morgan Tsvangirai come primo ministro, ma le chiavi della cassaforte le tiene sempre lui. La Zimbabwe Mining Development Corporation che gestisce la miniera estrae ormai sessantamila carati a settimana. I guadagni? cercateli nella viscida pinguedine dei conti all’estero di generali e fedeli del presidente.