Stefano Semeraro, La stampa 29/06/2009, 29 giugno 2009
MOZART E MADONNA IL MIO TENNIS E’ MUSICA"
Schiavone, negli ottavi di Wimbledon, tutta da sola: allora i coach non servono?
«Nella formazione di un ragazzo sono molto importanti. Poi, nel corso degli anni, un tennista spesso ha più bisogno di una persona sempre competente, che ti sappia consigliare, ma con la quale soprattutto ti trovi bene. Io ho deciso di giocare questi tornei senza coach, perché così posso riflettere meglio, pensare da sola a come affrontare certe situazioni in campo».
sola anche nella vita?
«Macché sola! Ho un sacco di amici, sto benissimo. Non la chiamerei proprio solitudine, la mia».
Come spiega il buon Wimbledon giocato dagli italiani quest’anno? L’erba non è la nostra superficie migliore.
«Ma la superficie non è così importante. Gli italiani hanno potenzialità per fare bene ovunque. Seppi può fare un grande risultato a ogni torneo. Quando lavori bene è il torneo che stai giocando quello che conta. Anche se è sull’erba. Poi va detto che l’erba non è più veloce come un tempo».
Non è stupita di se stessa? A 29 anni, per la prima volta negli ottavi a Londra.
«La verità è che sono felice. Qui ho giocato con grande gioia fin dal primo turno. E poi so bene cosa ho fatto in ogni giorno della mia carriera, come mi sono allenata. Sto vivendo questo Wimbledon con alto rendimento e grande semplicità. E finalmente mi sono convinta di poter giocare bene anche qui».
Forse la chiave è la continuità?
«Sì, adesso ho capito che ogni 15 va giocato con la stessa intensità, anche quando sei 40-15 e servizio. Il maestro in questo è Rafa Nadal. Grande Rafa, mi dispiace che non sia qui…».
Allora si può imparare dagli altri?
«Certo: ad esempio dalla finale straordinaria dell’anno scorso qui a Wimbledon, da Federer e Nadal, ho imparato molte cose. O quando, 4-5 anni fa, incontrai la Davenport a Stanford: tutte e due giocavamo bene lo scambio, ma i punti li faceva lei. Mi misi a studiarla, per capirne il motivo. E mi accorsi che tagliava meglio il campo, usando un passo in meno, che sul servizio metteva tutta se stessa. Leggeva meglio di me gli scambi, e anche se era più lenta arrivava prima sulla palla. Dettagli. Ma che fanno la differenza».
Il tennis femminile è davvero in crisi?
«Quello italiano non direi proprio. A livello mondiale sì, forse non c’è un Federer donna, manca una grande rivalità».
E soprattutto giocano tutte allo stesso modo: perché ci sono poche che giocano un tennis vario come lei?
«Perché è difficile giocare come me! Vabbè, scherzo, ma lo stile di gioco è frutto di un percorso individuale, dipende da come sei cresciuta, chi hai frequentato. E io, ad esempio, non sono una ragazza ripetitiva che fa sempre le stesse cose, mi piace cambiare».
A volte il suo tennis ha proprio un ritmo musicale: concorda?
«Sì. E magari sarà un caso, ma qui a Wimbledon la mattina sto ascoltando molta musica di pianoforte, specie Mozart. Però la sera metto su un disco di Madonna, un po’ di rock, e mi scateno».
Si scatenerà anche con la Razzano?
«Il pronostico è alla pari, 50 e 50. Lei tira forte e piatto, qui è un po’ favorita, ma io sto giocando benissimo».
E’ il suo miglior tennis della carriera?
«Non mettiamo dei limiti».
Ha già pensato a cosa farà dopo?
«E’ da quando ho 21 anni che ci penso. I progetti sono molti, in futuro mi piacerebbe anche condividere le mie esperienze con i giovani. Ma poi io fuori dal tennis vivo anche adesso. Ci sono tante cose che mi piace fare: ma alcune non si possono dire…».
Mettiamo che decida di iscriversi all’Università: quale facoltà sceglierebbe?
«Medicina. Perché così potrei curare chi soffre. Oggi muore troppa gente».