Paolo Isotta, Corriere della sera 29/06/2009, 29 giugno 2009
WOODY ALLEN UMILIA PUCCINI (MA CONLON DIRIGE CON CLASSE)
Il Festival di Spoleto ebbe una grandiosa rinascita l’anno passato, quando, passato in mano a Giorgio Ferrara, presidente, e Alessio Vlad, direttore artistico, s’inaugurò con la Padmavati di Albert Roussel, uno dei testi di teatro musicale più importanti e appassionanti del Novecento, un manuale di composizione in una sola partitura che per fortuna nessuno fu capace di imitare: copiavano Mavra di Stravinski, allora.... Perciò, sia chiaro: in questi tempi oscuri per la vita del teatro musicale italiano, che sta lentamente morendo per una crisi economica, quanto a esso teatro musicale, vissuta quasi con compiacimento dal Governo, non si può che guardare con simpatia e vorrei dire, giacché «vassene il tempo e l’huom non se n’avvede», con devozione, a questa istituzione che porta in sé innumerevoli motivi di gloria.
Quest’anno lo spettacolo inaugurale ha avuto molto successo e n’è stata data brillante descrizione sul Corriere della Sera. Simpatizzante, ripeto, qual sono per il Festival dei due Mondi, ho come un eroe di Metastasio l’animo diviso tra l’amore e il dovere. E il secondo debbo far prevalere, vieppiù dal momento che, passato un sol giorno, il colpo d’ala della Prosa con un Giorni felici di Beckett interpretato in maniera sublime da Adriana Asti scaccia l’impressione negativa del Gianni Schicchi di Puccini, appunto l’inaugurazione. Impressione negativa sotto il profilo dell’allestimento scenico: la parte musicale, guidata da James Conlon in modo autorevole insieme e frizzante e soprattutto competente del quia e del quomodo: i tempi giusti, i trapassi inavvertibili, le notazioni ironiche di quella ch’è forse, con la Fanciulla, la più perfetta partitura di Puccini. E aggiungo: Conlon conosce l’italiano meglio di me.
Sono rimasto scandalizzato per la facile furbizia adoperata nella scelta dell’allestimento: regia di Woody Allen, di talché ciò diviene la causa, in senso giuridico, di tutta l’operazione. Causa turpe, definirebbe la Cassazione, perché Puccini è messo prono, per servire a un taluno che sa di musica quanto un critico musicale e che soprattutto dimostra di essere un incompetente: e qua l’aggettivo lo tengo fermo. Una little Italy anni Cinquanta sporca tra canottiere e panni appesi, un finale cambiato (Schicchi viene ucciso da Nella) (!), una puzza di piedi, ascelle e orina nella camera del morto proveniente da tutti, non solo dalla salma, (che bella correspondance baudeleriana!), uno Schicchi (il grande Thomas Allen) che sembra un guappo (ma intanto, bravissimo, non si toglie la sua autentica chévalière).... Ben si badi, turpi insieme e comici sono i personaggi a seguire la didascalia originale, sotto l’alterigia nobilesca dei Donati fiorentini e di Signa; ma ciò Puccini e Forzano vogliono far scoprire allo spettatore, non sbattere in faccia.... Una delle più belle Opere Comiche esistenti distrutta da Allen (Woody) non per volontà odiosa: per ignoranza, cinismo: chi me lo fa fare di studiare che cos’è lo Schicchi, col mio nome faccio passare anche Madonna Ciccone vestita da Madonna del Carmine...