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 2009  giugno 29 Lunedì calendario

LA «SIGNORA IN GIALLO»: HO FATTO TUTTO, MI MANCA UN FILM DI EASTWOOD


«Se vivi (e reciti) con gioia, non invecchi»

LOS ANGELES – Lady Angela Lansbury, 83 anni ricchi di vitalità, continua a incantare i suoi fan di ogni età. La «Signora in giallo» del­la serie televisiva (quasi 300 punta­te) replicata di nuovo su Raiuno, ama tutti i colori e, con l’ultimo Tony – l’Oscar del teatro appena vinto per la quinta volta grazie all’in­terpretazione della medium in Bli­the Spirit di Noel Coward dove ri­porta in vita la moglie del personag­gio interpretato da Rupert Everett – fa sempre il «tutto esaurito» a Broadway.

L’avevamo lasciata due anni fa nei panni di zia Adelaide al fianco di Emma Thompson nel film Nan­ny McPhee/Tata Matilda, ma da al­lora ha fatto mille cose aggiungen­do alla sua stupefacente carriera al­tre tappe per la gioia di chi ama ap­plaudirla a teatro, non perdere una replica di La signora in giallo e ri­scoprirla nelle retrospettive cinema­tografiche. I suoi «classici»? Gran Premio (1944) con Elizabeth Taylor ragazzina; Il ritratto di Dorian Gray

(1945); Sansone e Dalila (1949) di Cecil B. De Mille nelle tuniche di Se­madar, figlia di un ricco filisteo; La lunga estate calda (1958) con Paul Newman. E ancora, tra i tanti titoli della storia del cinema, fu con Frank Sinatra e Laurence Harvey in Va’ e uccidi (il primo The Manchu­rian Candidate, 1962) che le fece conquistare un successo personale. «E anche la nomination agli Oscar – ricorda lei – anche se poi non vinsi l’omino d’oro. Per tanti anni ho abitato a Hollywood, ma non an­davo alle feste. Passavo il tempo li­bero a leggere gli autori che predili­gevo, F. S. Fitzgerald, Tennessee Williams, James M. Barrie e, sotto contratto alla Mgm dovevo veder­mela con i moguls come L. B. Mayer, che contava gli incassi di Esther Williams, di Judy Garland, di June Allyson, di Lena Horne... Sì, an­che allora c’era il box office e le top star del botteghino erano Clark Ga­ble e Gary Cooper, ma anche Ab­bott & Costello e Betty Grable».

Sorride: «Esther nuotava, Judy cantava, June era la fidanzata d’America, Lena faceva battaglie so­ciali, cantava e recitava e intrattene­va il pubblico, Betty era una regina della commedia brillante e la bellez­za da tascapane per eccellenza per tutti i soldati d’America... Io ero sol­tanto una ragazza inglese, però a Hollywood questo è un pregio per la deferenza che gli americani han­no sempre avuto verso gli attori an­glosassoni. E andavo in giro per gli studios cercando lavoro. Guidavo una Ford sul Sunset Boulevard e so­gnavo di conquistare ruoli che mi permettessero di dedicarmi solo al­la recitazione perché per mantener­mi facevo anche la commessa e la cameriera. Infatti, ironia del desti­no d’attrice, debuttai nel ruolo di una cameriera che accendeva an­che la sigaretta a Charles Boyer, in Angoscia, un supergiallo capace di fare invidia alla mia, non ancora na­ta signora in giallo Jessica Fletcher».

Ha attraversato tutti i generi del cinema anche quelli dei film per ra­gazzini della Disney e ha prestato la sua voce a capolavori dell’animazio­ne come La bella e la bestia (era la mamma/teiera), ma dice: «Il pub­blico continua a identificarmi con la scrittrice di gialli Jessica dall’intu­ito infallibile, che io accettai subito mentre si bisbigliava che Doris Day avesse rifiutato la parte».

Se ne sono andati tanti grandi at­tori con i quali ha recitato, da In­grid Bergman («Dopo aver lavorato insieme, dirette da George Cukor, diventammo davvero amiche»), a Victor Mature («Sansone era pro­prio lui»), a Hedy Lamarr («Posse­deva un fascino speciale»), Judy Garland («Avevamo all’incirca la stessa età, ma ero sempre io ad aspettare sul set il suo arrivo e, poi, però, nulla più interferiva con la sua bravura»), Katharine Hepburn («Impareggiabile nello charme»), Randolph Scott («Un vero gentle­man »); e ancora: Lana Turner, Ge­ne Kelly, Peter Ustinov, il nostro Raf Vallone... Ama ricordare tutti come se fossero ancora vivi: «Infatti sullo schermo lo saranno per sempre».

«Quando arrivai a Hollywood dal­l’Inghilterra era il 1942 – continua – e le cose erano diversissime da oggi perché lo star system aveva re­gole severissime. Conservo come un gioiello il ricordo del talento di tanti e, da attrice, accarezzo ancora qualche progetto. Per esempio, reci­tare per quel grande regista che è Clint Eastwood».

Anche la Lansbury, come Julie Andrews, Ester Williams e, ultima, Cloris Leachman ha scritto un libro di memorie. Racconta: «Quando co­minciai a recitare ero ancora una bambina. Mio non­no, George Lansbu­ry, è stato un gran­de leader laburista pacifista. Sapeva at­tirare le folle, io vo­levo imitarlo, ma recitando». Ma non è a questo suo libro o al carnet dei suoi impegni che la lady del tea­tro tiene più di tut­to: «Sono testimo­nial di una associa­zione che si batte per ogni ricerca possibile sull’Als (in Italia la Sla, scle­rosi laterale amio­trofica, ndr). Mia sorella Isolde è scomparsa per que­sta misteriosa malattia, che si rivela sempre irreversibile. Bisogna conti­nuare a fare ricerche e oggi il me­stiere dell’attore offre a tanti colle­ghi la possibilità di battersi per cau­se significative. Se il pubblico ci ama, deve anche imparare a condi­videre con noi le cause che diventa­no una delle nostre ragioni di esiste­re ».

La adora Ruper Everett, che reci­ta con lei nella commedia di Noel Coward: «Lady Lansbury è sempre se stessa e per questo il pubblico la segue da anni, pronto a rivederla».

Lei dice: «Ho portato in teatro grandi successi, da Gypsy alle mille e cinquecento repliche di Mame, a

Sweeney Todd, ma il palcoscenico mi dà sempre le stesse emozioni e sono orgogliosa quando vedo tanti giovani in platea. Di recente mia ni­pote, che ama l’Italia proprio come mia figlia Deirdre ama l’Italia, mi ha telefonato da Roma: «Ti ho visto in televisione qui e mi ha fatto impres­sione sentire Jessica Fletcher parla­re perfettamente l’italiano».

«In Deuce – racconta – ho in­terpretato due anni fa a teatro un’ex campionessa di tennis che, come la sua amica, impersonata da Marian Seldes (un anno solo meno di me) non è più ovviamente sulla cresta dell’onda; è una commedia/metafo­ra sull’età, ma non mi sono mai sen­tita ’vecchia’, così come non mi sento vecchia nella vita. Non è l’illu­sione del teatro o del cinema, ma la gioia di dare con il mio lavoro qual­cosa agli altri, specie in tempi diffi­cili come questi».