Massimo Mucchetti, Corriere della sera 28/06/2009, 28 giugno 2009
SE LE STATISTICHE NON SONO NEUTRALI
Uccellacci del malaugurio? Sabotatori della pubblica fede? Ad ascoltare Silvio Berlusconi questo dovremmo pensare di Banca d’Italia, Fondo monetario internazionale, Ocse, Eurostat che diffondono notizie e previsioni negative sull’economia italiana. Istituzioni da zittire, secondo il premier, o da sospendere dalla comunicazione almeno per l’estate, come suggerisce, non senza ironia, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. questa un’alzata di scudi che apre due questioni. La prima è se alle parole seguiranno i fatti. La risposta è no. Non è immaginabile un governo italiano che intimi al Fmi di non rendere pubblico, se cattivo, un outlook sull’Italia. Si sentirebbe rispondere che nessun altro Paese ha simili pretese e che, comunque, non si fanno eccezioni. Non ci resterebbe allora che uscire dal Fmi o dire che avevamo scherzato. Se il governo ci provasse con Banca d’Italia, l’esito sarebbe lo stesso perché l’indipendenza delle banche centrali è sancita dai Trattati europei. In teoria, la politica potrebbe premere sui media affinché non riprendano fonti sgradite, e qualcosa è stato pure ventilato. Ma nemmeno chi ventila può pensare che l’Italia sia l’Iran. Del resto, il giorno dopo lo stesso Berlusconi ha rettificato il tiro.
La seconda questione è se dietro le parole di Berlusconi e Tremonti non esista tuttavia un problema reale: la neutralità non assoluta dei dati. E questa volta la risposta è sì. Non è una scoperta di Berlusconi e Tremonti. C’è un’ampia letteratura in materia. Perfino l’Ufficio del Bilancio del Congresso contesta da anni le reticenze dei conti pubblici Usa, e nessuno pensa di zittirlo. Il miglioramento delle statistiche ha bisogno di cultura, non di autoritarismo, di più e non di meno informazione. Un esempio. Per dare sostanza alla tesi sulla forza misconosciuta dell’Italia, Tremonti usa riferirsi al rapporto tra Pil e debito globale (pubblico e privato) che ci è più favorevole del classico rapporto Pil-debito pubblico. una chiave di lettura con rilevanti implicazioni politiche e storiche. Eppure, non esistono elaborazioni ufficiali che diano conto di queste grandezze nel tempo e in relazione agli altri Paesi.
Con l’aiuto di Enrico D’Elia, economista dell’Isae, abbiamo ricostruito una serie storica a partire dal 1995, anno nel quale cambiano alcune regole di contabilità nazionale. Sulla base dei dati Ocse (gli unici omogenei, ma vanno bene in tutto?), sotto questo profilo l’Italia era messa meglio degli Usa fin dal ”95, e però da allora ha subito una crescita più rapida del suo debito globale. Se si ritiene che, pur con tutti i caveat, questa e altre siano materie interessanti, non sarebbe il momento di colmare le lacune ufficiali per favorire un confronto politico meglio informato? In un campo limitrofo, la revisione della formula del Pil, la Francia di Sarkozy ha varato la commissione Fitoussi e la stessa Ocse, una delle istituzioni «incriminate», il gruppo di Istanbul. E l’Italia che fa? Polemizza invece di studiare per saperne di più.