Guido Olimpio, Corriere della sera 28/06/2009, 28 giugno 2009
LE «ANIME NERE» DEL REGIME CHE DIRIGONO LA REPRESSIONE
WASHINGTON – Sono le anime nere. Capaci di reprimere la protesta popolare senza avere il minimo rimorso, prigionieri dei loro dogmi e convinti di godere di una investitura divina. Agiscono nel solco tracciato chi li ha preceduti nella storia della Repubblica Islamica. Come Sadegh Khalkhali, lo spietato capo delle Corti islamiche, un uomo che non riusciva a ricordare quante persone avesse mandato a morire e Asedollah Lajevardi, il responsabile del carcere di Evin soprannominato «il macellaio». Morti da tempo, hanno lasciato gli arnesi del supplizio ad altri.
In cima alla piramide c’è Mesbah Yazdi, l’ayatollah ultraconservatore che ispira e protegge, sotto il profilo dottrinario, il capo dello stato Ahmadinejad. Lui governa a colpi di fatwa. Con l’ultima ha autorizzato a far fuori i riformisti. Discreta e influente la posizione del figlio di Khatami, Mojtaba. il filtro che protegge la Guida, è il guardiano che disciplina i contatti ma nutre ambizioni politiche che spera di alimentare andando a braccetto con i radicali. Veglia sull’ortodossia l’ayatollah Ahmad Jannati, 83 anni, capo del Consiglio dei guardiani, distintosi per aver bocciato molte candidature riformiste. Agli ideologi si aggiungono quelli che fanno il lavoro sporco. Uomini di legge, sbirri, miliziani. stato rivelato che manifestanti, bloggers e dissidenti passeranno sotto l’occhio severo del procuratore islamico Saed Mortazavi, il magistrato che dovrà coordinare i processi dove la condanna è già stata scritta. Perché il giudice si è sempre mostrato inflessibile nel tappare la bocca a chiunque contesti. Ha fatto chiudere giornali, ha mandato in prigione giovani studenti, ha minacciato le famiglie degli arrestati con pressioni d’ogni tipo e se ne è anche vantato. Mortazavi è stato poi coinvolto nel caso della fotografa irano-canadese Zahra Kazemi, morta sotto tortura nel 2003. Al procuratore piace la ribalta: si è fatto fotografare alle esecuzioni di oppositori ed è andato in tv per mostrare il materiale sequestrato «alle spie».
Ad alimentare i processi provvederà un sofisticato apparato repressivo coordinato da un quadrumvirato dove brilla la stella di Alì Jafari, il responsabile dei 120 mila pasdaran. Quando Khamenei lo ha messo alla guida dei pretoriani gli ha affidato una missione speciale: quella di contrastare una possibile «rivoluzione di velluto» in Iran. E Jafari ha ristrutturato i pasdaran in base alla «dottrina del mosaico », decentralizzandoli in 31 dipartimenti. Inoltre ha designato le Brigate «Al Zahra» e «Ashoura» come reparti anti sommossa. Ma, risvolto più importante, ha reintegrato la milizia Basij nei pasdaran proprio per avere una forza d’urto in caso di una sfida nelle piazze. A questo fine ha nominato – nel luglio 2008 – comandante dei Basij un ex studente del seminario dell’imam Khomeini, l’hojatoleslam Hussein Taeb. Una scelta mirata. Per gli oppositori il gerarca in turbante ha una solida base ideologica ed ha guidato la facoltà Cultura all’ateneo Hussein, istituto dove si sono formati gli ufficiali pasdaran. Jafari e Taeb condividono un obiettivo dichiarato: la «protezione dei risultati della rivoluzione». E per questo sono pronti a usare ogni mezzo. Con loro collaborano le ombre della Vevak, oltre 30 mila agenti che dipendono dal ministro dell’Intelligence, Gholam Mohsen Ezhei. Esponente del clero, si è distinto nel denunciare il presunto appoggio straniero ai dimostranti. Accuse scontate e fasulle che però possono bastare per mandare un uomo sul patibolo.