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 2009  giugno 29 Lunedì calendario

Gli occhi dell’Europa, spaventati e perplessi, guardano quello che sta succedendo in Lettonia. Il lat, la moneta del piccolo stato baltico – solo 2,3 milioni di abitanti – rischia di franare e trascinare con sé prima le valute delle vicine Lituania ed Estonia, poi quelle di Svezia e Bulgaria, quindi anche le monete di Polonia, Romania, Ungheria, in un processo a catena che può travolgere mezzo continente

Gli occhi dell’Europa, spaventati e perplessi, guardano quello che sta succedendo in Lettonia. Il lat, la moneta del piccolo stato baltico – solo 2,3 milioni di abitanti – rischia di franare e trascinare con sé prima le valute delle vicine Lituania ed Estonia, poi quelle di Svezia e Bulgaria, quindi anche le monete di Polonia, Romania, Ungheria, in un processo a catena che può travolgere mezzo continente. Il paese si è cacciato nei guai gestendo male l’enorme disponibilità di credito degli anni passati. Le nazioni del baltico sono economie piccole ma molto aperte, e negli ultimi anni sono cresciute a ritmi impressionanti. Tra il 2004 (anno dell’ingresso nell’Unione europea) e il 2007 il Pil della Lettonia è aumentato del 10% ogni anno. Gli stipendi crescevano a una media del 30% ogni 12 mesi. L’inflazione era al 15%. Il lat non si svalutava perché agganciato all’euro (1,4221 euro per un lat, con una soglia di oscillazione dell’1%). In un contesto del genere, per i lettoni indebitarsi – e indebitarsi in euro – era un affare. Con i soldi presi in prestito i lettoni compravano soprattutto case. C’è stata una coincidenza molto sfortunata: in quegli anni anche il Regno Unito e l’Irlanda vivevano i loro boom edilizi, e hanno aperto il mercato del lavoro agli immigrati dei nuovi stati membri dell’Unione europea. Tanti lettoni sono emigrati là, e il paese si è trovato a corto di muratori. Quindi ha dovuto alzare gli stipendi per evitare che la migrazione continuasse. E di conseguenza rincaravano i prezzi delle case e gli stipendi negli altri settori, che dovevano adeguarsi alla pressione dell’edilizia. L’aumento generalizzato dei salari ha generato a sua volta inflazione avviando la spirale prezzi-salari-prezzi. Le televisioni lettoni, prima della crisi, trasmettevano spot tipo questo: una famiglia si presenta in macchina a una finestrella stile drive-in di un McDonald’s, invece di ordinare un hamburger chiede un prestito. Altro spot: un vecchio e un giovane, ognuno alla guida della sua Bmw. ”Ho risparmiato tutta la vita per una macchina del genere” dice il vecchio. Il giovane: ”Io no, perché me la son presa in leasing”. Nel 2008 le immatricolazioni di auto in Lettonia sono franate dell’80%. Il politologo Daunis Auer: ”Qui la gente non stava facendo altro che comprare quei prodotti occidentali che gli erano stati promessi dal 1990”. Ai lettoni facevano credito soprattutto le banche svedesi – in particolare le due maggiori, Swedbank e Seb – che dominano il mercato del baltico. Si calcola che negli ultimi tre anni gli istituti di credito di Stoccolma avevano 80 miliardi di euro investiti in prestiti lettoni. Cioè la Svezia ha piazzato in Lettonia il 16% del suo Pil 2007. Ma nel 2008 i rubinetti delle banche estere si sono chiusi anche per tutti. Anche per i lettoni, la cui capacità di ripagare i debiti era già dubbia. Le banche svedesi si erano accorte che qualcosa non andava già nel 2007. Quell’anno Swedbank ha commissionato un’indagine tra i clienti per capire quali fossero le aspettative sul credito dei lettoni. ”Se ho capito bene – spiegava il capo economista di Swedbank a Riga, Martins Kazaks – un quarto degli intervistati si aspetta che nei prossimi tre anni il suo reddito reale crescerà del 30%. La cosa è quantomeno bizzarra”. Prezzo delle azioni di Swedbank (che aveva dal Baltico il 25% dei suoi profitti operativi) a febbraio 2007: 285 corone. Ora è a 60. Mancato il credito, la situazione è precipitata. I lettoni sono arrivati all’ottobre del 2008 con un debito pubblico molto basso (il 20% del Pil) ma un enorme debito privato, che vale il 140% del Pil. La crescita si è fermata, la recessione è tra le più dure del mondo (il Pil crollerà del 18%), la disoccupazione schizzerà dall’11 al 20% quest’anno. I prezzi delle case si sono dimezzati in un solo anno. Mentre il governo non sa come fare per ridurre un deficit corrente che si era abituato a mantenere ad alti livelli: la differenza tra entrate e uscite statali è stata del 22% nel 2006, del 25% nel 2007. Una soluzione ci sarebbe: lasciare svalutare il lat, per ridurre il debito estero. Alcuni dicono che non servirebbe, dato che circa il 90% dei prestiti concessi all’economia lettone è denominato in euro, e quindi una svalutazione non farebbe altro che generare una massa di fallimenti interni. Nemmeno l’Europa vuole che Riga svaluti. Se Riga decidesse di tagliare il valore del lat, le due principali banche svedesi, Swedbank e Seb, dovrebbero svalutare proporzionalmente il 34% dei loro prestiti. Nello scenario peggiore di svalutazione del lat – ipotizzato da Danske Bank – le banche austriache rischiano perdite pari all’11% del Pil nazionale, quelle svedesi per il 6%, le belghe del 3,5%. Gli investitori non si fidano più. Il 3 giugno scorso, un’asta di titoli pubblici lettoni per un valore totale di 100 milioni di dollari è andata completamente deserta. Nessuno ha comprato un bond. Perché si teme che Riga non sia in grado di restituire i soldi che chiede. Fitch Rating spiega che il debito che la Lettonia deve rifinanziare quest’anno è pari al 320% delle sue riserve in valuta estera. Sempre Fitch, da febbraio, ha declassato il giudizio sui bond lettoni a ”spazzatura” con ”outlook negativo”. Si rischia un contagio stile ”wake up channel”: una crisi in Lettonia potrebbe ”svegliare” gli investitori, allertandoli nei confronti di vulnerabilità simili in altre economie, a partire da quelle più vicine a Riga. Compresa la Grecia, il ventre molle dell’Unione europea. Se il pericolo di default spaventa l’Europa, la strategia con cui la Lettonia sta cercando di evitarlo, invece, la lascia perplessa. Perché il governo di Riga ha promesso che non svaluterà, ma farà di tutto per mantenere il tasso di cambio fisso tra lat ed euro, che le consentirebbe di entrare nella moneta unica europea entro il 2013. Farà di tutto nel senso che taglierà tutte le spese possibili, aumenterà le entrate, con l’obiettivo di tenere il deficit al 5% quest’anno, contro il 12% previsto. Un deficit sotto il 5% è anche una delle condizioni a cui è subordinato il prestito, da 7,5 miliardi di euro, che a dicembre Riga ha chiesto all’Unione europea e al Fondo monetario internazionale. A fine giugno Riga ha ottenuto, grazie ai suoi piani di tagli, la seconda tranche di quel credito: 1,4 miliardi dall’Ue, 200 milioni dal Fmi. Il governo ha varato tre pacchetti di tagli alle uscite – l’ultimo vale 700 milioni di euro – che chiedono alla popolazione sacrifici pesanti. Ridotti di almeno il 20% tutti gli stipendi degli statali, con punte del 70% per i dirigenti pubblici. Nelle scuole saranno licenziati un terzo degli insegnanti, gli altri torneranno in classe a settembre con uno stipendio dimezzato. Le pensioni sono state tagliate del 10% per chi non ha altri redditi, del 70% per i pensionati che lavorano. La soglia di reddito esente da tassazione è stata abbassata da 90 a 35 lat. Chi ne guadagna più di 800 pagherà il 40% di tassa sul reddito. Gli assegni per i disoccupati sono stati tagliati del 30%, e il sussidio durerà 6 mesi invece che un anno. L’Iva è stata porta al 23%. Per risparmiare ancora di più il governo ha deciso di ridurre la settimana lavorativa delle Poste da 6 a 5 giorni. Il Financial Times ha parlato con Anna Matuk, pensionata del quartiere Jurmula, a Riga: vive col figlio disoccupato e ora la sua pensione è di soli 156 lat al mese. Per risparmiare ogni giorno spegne il frigorifero per qualche ora. Tecnicamente è una svalutazione interna. Ci sono pochi precedenti, nella storia, di casi di nazioni che siano riuscite a uscire da una situazione di iper-indebitamento senza svalutare la moneta. ”Quello che stanno facendo i lettoni non si è mai visto nella storia economica – spiega Rory MacFarquahar, esperto dei mercati emergenti di Goldman Sachs – dal punto di vista politico e sociale è estremamente doloroso. Non so nemmeno se sia sostenibile”. Anche il Fondo monetario internazionale, raramente preoccupato del disagio sociale delle nazioni, si è mostrato preoccupato per le conseguenze che gli enormi tagli di spesa lettoni avranno sui cittadini. I lettoni, ha detto l’ex primo ministro Ivars Godmanis, per sopravviere ”devono stringersi tutti assieme, stare attaccati come fanno i pinguini”. Godmanis si è dimesso a febbraio, dopo che a gennaio la gente era scesa in piazza per protestare contro il primo pacchetto di tagli di spesa. Il suo posto è stato affidato a Valdis Dombrovskis, primo ministro di soli 37 anni. Dopo avere annunciato l’ultimo pacchetto di tagli, a metà giugno, il premier ha ammesso. ”La gente sta diventando stanca. arrivata al limite. Dobbiamo dir loro almeno che non ci saranno altri tagli quest’anno”. Morgan Stanley non crede che basterà: la svalutazione del lat, hanno detto gli analisti della banca americana, è inevitabile comunque. «Abbiamo governato molto male» ha ammesso, in Parlamento, il presidente della Repubblica Valdis Zatlers. Dopo l’esplosione della bolla un giornalista di Bloomberg ha chiesto all’ex ministro delle finanze, Atis Slakteris, cosa stesse succedendo. ”Niente di speciale” ha risposto lui. Oggi quella frase se lo stampano sulle magliette. L’indagine di aprile dell’Eurobarometro, che misura il tasso di fiducia dei cittadini europei, ha rivelato che i lettoni sono i quarti più ottimisti dell’Unione riguardo le possibilità di una ripresa imminente.