Giuliano Amato, ཿIl Sole-24 Ore 28/6/2009;, 28 giugno 2009
LA SVOLTA CON PETROLIO E MONETA
Di sicuro sbaglieremmo se accusassimo gli addetti ai lavori e i nostri governi di essere rimasti inerti davanti agli effetti devastanti prodotti sui risparmi e sulle economie del mondo intero dagli squilibri, dagli eccessi e dalle irresponsabili avventure finanziarie, che per lunghi anni erano stati non solo tollerati, ma in più casi elogiati e incoraggiati in nome dei rendimenti che comunque ne uscivano.
Nel corso degli ultimi mesi siamo stati addirittura sommersi dai lunghi elenchi di nuove regole messe a punto dalle nostre menti migliori - il rapporto dei Trenta guidati dall’americano Paul Volcker, il rapporto che reca il nome dell’inglese Adair Turner, quello intestato al francese Jacques de Larosière - e buona parte dei loro suggerimenti sono già stati adottati dai governi nazionali e, nella nostra Unione, dalle sedi europee. Sono regole che dovrebbero indurci alla fiducia e che in sé sono adatte a generare fiducia. Una cosa è certa, non saranno più il genio e la sregolatezza a contrassegnare in futuro le attività finanziarie.
Possiamo dunque ripartire tranquilli? La ripresa, inizialmente fragile, che prima o poi dovrà pure arrivare, sarà protetta dalle scosse del passato, che di sicuro la distruggerebbero sul nascere? La inquietante verità è che non è così e non lo è perché l’attenzione con cui ci si è dedicati ai rimedi da portare in campo finanziario è sinora mancata per due fondamentalissimi fattori da cui dipende la possibile stabilità delle nostre economie e che, negli anni trascorsi, hanno provocato o accentuato gli squilibri ancora di più dei rendimenti finanziari: il corso delle valute e il prezzo del petrolio.
Premetto subito che apportare qui le riforme che servono è molto più complicato che fissare nuovi indicatori di macro- stabilità finanziaria o più severi standard prudenziali per i prestiti bancari. Ma questa è una ragione in più, non una di meno, per occuparsene. Da quando Richard Nixon disancorò il dollaro dall’oro e saltò in aria il sistema di Bretton Woods, è emerso in mille occasioni che la moneta di un singolo paese non può servire, insieme, gli interessi della sua economia e quelli dell’equilibrio monetario del mondo. Che cosa succederebbe domani se, per esportare di più e consumare di meno, gli americani svalutassero il dollaro? Ne sarebbero svalutati gli immensi crediti che ha la Cina nei loro confronti e le stesse riserve, denominate largamente in dollari, di buona parte degli altri paesi. Un bel guaio, dunque.
Allo stesso tempo, però, non arriveremo mai al necessario equilibrio macroeconomico, se gli Stati Uniti non esporteranno di più e la Cina non esporterà di meno e a questo fine un riaggiustamento fra le loro monete è necessario. E allora? In questi mesi si è ripreso a parlare della rinnovata necessità di un ritrovato coordinamento monetario, ma l’agenda delle istituzioni di governo, così come quella dei G-8 e dei G-20, si tiene alla larga dagli approfondimenti che sarebbero necessari. E siamo fermi agli auspici.
I guasti che possono venire dalle impennate, ma anche dalle cadute violente, del prezzo del petrolio sono non meno evidenti. Le cadute congelano gli investimenti sia nelle vecchie che nelle nuove fonti di energia e preparano un mondo nel quale non ci sarà l’energia di cui lo sviluppo avrebbe bisogno. A loro volta le impennate uccidono lo sviluppo e portano recessione. Ricordava giorni fa a Roma Robert Wescott, già consigliere economico del presidente Clinton, che quando il maggior prezzo del petrolio arriva a " tassare" il prodotto lordo mondiale di una percentuale fra il 5 e il 7%, la recessione è sicura. Ebbene della questione oggi sono pochissimi a occuparsi (lo ha fatto l’Eni, con un documento che ha circolato fra i governi e che ha provocato qualche articolo di giornale) e intanto è già ricominciato il gioco infernale dei "future" sul prezzo del petrolio, il gioco che l’anno scorso lo aveva portato a quegli assurdi 140 dollari al barile, coincidenti appunto con la tassa del 7% sul prodotto mondiale, di cui parlava Wescott.
Per difficile che sia mettere le mani in questioni di questa portata, io credo che sia davvero irresponsabile non farlo, specie in una stagione nella quale il bisogno e l’aspettativa di riforme offrono una carta in più a chi davvero le vuole. La questione monetaria l’ha sollevata mesi fa il governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiao Chung, che, davanti al dilemma su cui nacque Bretton Woods, ha osato domandarsi se non avesse magari ragione Keynes quando voleva una moneta mondiale, il Bancor, e non la moneta di un singolo paese, sia pure ancorata all’oro. La domanda è certo molto osé e proprio perché lo è, si è fatto orecchio da mercante. Ma la questione esiste e se i governi avessero coraggio e volontà potrebbero intanto impostare soluzioni necessariamente graduali e fare quindi i primi passi per arrivarci: avvicinare intanto le "costituzioni" monetarie nazionali per creare preliminari ed essenziali convergenze di politiche, propone Franco Bruni; seguire per i diritti speciali di prelievodel Fondo monetario l’esempio del nostro vecchio ecu, ho proposto io, e farne perciò qualcosa di più di un mero basket di valute senza alcun utilizzo;rafforzare intanto l’euro come moneta di riserva, scrive Stefano Micossi, e decidersi a tal fine ad emettere bond europei denominati per l’appunto in euro.
Le idee dunque non mancano, né mancano in materia petrolifera, anche se per ora è stato meno corale il dibattito a cui le dobbiamo in campo monetario. L’unica vera proposta è quella dell’Eni e si incarna in un’agenzia del petrolio, nella quale produttori e consumatori non solo si scambino informazioni e definiscano orientamenti comuni, ma dispongano al-tresì di un fondo di stabilizzazione, che faccia interventi sul mercato capaci di contrastare le punte dei prezzi. una proposta molto ambiziosa, ma certo,una volta ammesso che il problema c’è, è ben difficile affrontarlo altrimenti. Di sicuro non porterebbe molto lontano la soluzione facile, che viene in mente per prima, e cioè quella di vietare i future sul petrolio. Io non ho alcuna simpatia per loro, ma intanto non so quanto sia esclusiva la loro responsabilità sulle impennate del prezzo, e poi so bene che la fantasia finanziaria troverebbe presto il modo di aggirare legalmente il divieto. vero però che appesantire le loro ali si potrebbe, attraverso vincoli che ne rendessero i rilanci meno facili e meno irresponsabili.
In conclusione: ci stiamo mettendo nella condizione di far ripartire le nostre economie su binari più sicuri, ma sotto di loro sono rimaste due rotelle, che in ogni momento possono farle deragliare. Sono le rotelle che, più di ogni altra, hanno bisogno di quelle azioni sovranazionali per le quali servono i G-8 e i G-20. L’Italia, che presiede il G-8, farà bene a ricordarlo a sé e agli altri.