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 2009  giugno 27 Sabato calendario

MARINI ALL’ATTACCO DI VELTRONI I DARIO’S SONO GIA’ IN CRISI

Franco Marini, il primo dei big ad abbandonare la riunione con largo anticipo, s’è perso forse il siparietto più "gustoso" di tutta la direzione. Chi, invece, stava seduto nelle vicinanze di Pier Luigi Bersani se l’è goduta fino in fondo, la reazione dell’ex ministro dello Sviluppo economico alle parole che il "tecnico" veltroniano Salvatore Vassallo stava pronunciando nella sala riunioni all’ultimo piano del Nazareno. E così, quando il politologo di fiducia del fronte franceschiniano ripete per la seconda volta in pochi minuti che «Bersani è contro le primarie», il diretto interessato s’abbandona totalmente alla cadenza piacentina per dirlo senza troppi giri di parole: «Ma che caz.. dici? Che caz.. dici? Roba da matti...».
Solo un episodio, certo. Che però non aiuta a scoprire la chiave giusta per leggere una Direzione che doveva dare la risposta a tre domande (sul rinvio del congresso, la modifica delle regole, l’apparizione sulla scena del «terzo candidato») e che invece si è chiusa all’insegna di nuovi punti interrogativi, soprattutto sulla tenuta del fronte che sostiene la corsa del segretario uscente. Il congresso no, non sarà rinviato. «C’è uno statuto che parla chiaro. Il congresso si terrà in autunno», scandisce Dario Franceschini nella relazione introduttiva, in cui sottolinea a più riprese che «non bisogna avere paura del confronto democratico». Il tema vale pure per il regolamento congressuale, che lascia la selezione delle candidature agli iscritti e la scelta del vincitore agli elettori. «Non ’è tempo per cambiarlo». In sala è tutto un brusìo, che però non si trasforma in un dissenso aritmeticamente rilevante (i contrari, a conti fatti, saranno solo sette).
Anna Finocchiaro prende la parola per attaccare frontalmente il segretario («Le tue parole ci fanno rischiare la resa dei conti») ma nessuno si stupisce più di tanto. Il capogruppo al Senato non aveva di certo nascosto la sua idea di rinviare le assise a tempi migliori. Ma quando a colpire di sciabola è Franco Marini, quasi tutti i membri della direzione del Pd avvertono la sensazione di un mezzo colpo di scena.
L’ex presidente del Senato spiega che starà dalla parte di Franceschini. Ma, esaurita la premessa, si scaglia contro il «nuovismo» e scardina punto per punto la forma-partito preferita da Veltroni, che di «Dario» è uno degli alleati. «Io sto col segretario ma il "nuovo" non diventi un’ideologia. Questo è già stato l’errore dell’ex leader», è l’argomentazione di un Marini che boccia le primarie («Non mi piacciono molto»), cestina lo Statuto e cita l’errore della Madia per evitare che si ripeta con la Serracchiani. «Facciamoli crescere, ’sti giovani. Ma non facciamogli fare i capilista».
Prima di abbandonare il Nazareno, Marini nasconde dietro il sorriso tutte le sue preoccupazioni. «Ma lo vedete com’è combinato ’sto partito? Quando ho sentito di Ignazio Marino candidato ho pensato: "Siamo in rianimazione?". Meno male che non si candida la Binetti: avrebbe voluto dire che eravamo già di fronte alla porta del Padreterno». E il video con cui Franceschini aveva presentato la sua candidatura? Risposta di Marini: «Lasciamo perdere. Oggi Dario ha corretto il tiro». Alla sfuriata dell’ex presidente del Senato, dietro cui si nasconde tutto il malessere dell’ala popolare, risponderà in serata l’uomo ombra di Veltroni, Walter Verini: «Le primarie sono un elemento costitutivo. Senza di quelle restiamo figli di un dio minore».
Non è tutto. I dubbi sulla reale tenuta della mozione Franceschini aumentano quando Piero Fassino, che per il suo sostegno a «Dario» è finito in difficoltà coi suoi, usa i minuti del suo tempo per stroncare «il nuovo», soprattutto se ha le sembianze della veltroniana Serracchiani. «Non si seleziona un nuovo gruppo dirigente per un intervento all’assemblea dei circoli», si scalda l’ex segretario dei Ds, che rovescia pure l’analisi del voto firmata giorni fa dal segretario («Diciamo la verità: abbiamo perso, soprattutto al Nord»).
L’ala Bersani, nel frattempo, assiste senza intervenire. D’Alema si limita a seguire il dibattito. A chi gli fa notare che «però la Serracchiani ha preso un bel po’ di voti alle Europee», l’ex premier risponde secco: «Io ne ho presi di più. Anzi, nessuno ne ha mai presi quanto me». E quando Roberto Speranza, il giovane dalemiano lucano che gli sta affianco, ricorda i record di Emilio Colombo, il presidente di ItalianiEuropei replica all’istante: «Però ai tempi del mio amico Colombo c’erano i numeretti. Era più facile».
D’Alema e i suoi decidono di abbandonare la Direzione subito dopo il voto sulle modifiche al regolamento spiegate da Vassallo. «Non abbiamo capito nemmeno una parola. Per questo io e Massimo ci siamo astenuti», spiega Latorre, che alla domanda sul discorso di Franceschini ammette: «Non l’ho sentito». E la soluzione del giallo sul «terzo uomo», invocato da Goffredo Bettini? Chiamparino, che ieri ha lungamente conversato con D’Alema, pare sfilarsi. Il sindaco di Torino ha iniziato il suo intervento sulla laicità («Non siamo riusciti a sciogliere questo nodo. Per questo non sono riuscito a convincere mia moglie e mio figlio a votarci») e l’ha chiuso chiedendo «un’intesa per una fase unitaria». Rutelli, invece, è passato al contrattacco sulla collocazione europea, ha marcato il suo dissenso sulla soluzione Asde e si è allontanato ulteriomente dalla mozione Franceschini. Il quale, esauriti gli interventi, ha preferito sciogliere immediatamente la Direzione. Senza passare, come facevano "quelli che c’erano prima", per le conclusioni.