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 2009  giugno 24 Mercoledì calendario

NOMI FALSI PER LE NOZZE. LA MOGLIE SERIALE A PROCESSO IN INGHILTERRA


Il primo bidone Emily Horne lo tirò al povero Paul Rigby, un soldatino del Royal Irish Regiment. Lei, cari­na, furba e intraprendente, lo aveva convinto a convolare a nozze. Si erano conosciuti a scuola e cammin facendo la lo­ro amicizia pareva essersi tra­sformata in un amore travol­gente.
Facile rifugiarsi nel vecchio detto che fidarsi è bene e non fidarsi è meglio. Ma chi avreb­be mai sospettato che la bella Emily, ex modella, sarebbe di­ventata quella che oggi i gior­nali e le televisioni inglesi eti­chettano come una «serial bi­gamist » o «serial wife»? O, ad­dirittura, una «femmina rapa­ce » se ci si affida alle parole di un giudice poco tenero? Le sue foto sono in evidenza nei fogli di informazione. E in ef­fetti, questo è per il Regno Uni­to un caso pilota.
Emily, davanti a una corte di Manchester, deve risponde­re di irresistibili giravolte ma­trimoniali. Cosa che gli procu­ra il rischio di una condanna a sette anni di carcere. Si com­prende, allora, per quale moti­vo la trentenne «femmina ra­pace » si sia presentata alla udienza di apertura del proces­so con il nuovo look: non più quello di un’avvenente bion­da, ottima seduttrice e scaltra mogliettina, ma semmai di una brava e rassicurante signo­ra con capelli corti e scuri, tan­to per convincere il tribunale che con i giochini pericolosi – sposarsi, sparire, cambiare nome, risposarsi e di nuovo ri­cominciare a tessere la rete per attirare gli spasimanti – ha per davvero chiuso. Non sa­rà un’impresa facile ristabilire la reputazione.
Quel giorno, era il dicembre 1996, con Paul Rigby vittima ignara dell’abile Emily, comin­ciò la carriera, se così la voglia­mo chiamare, di una professio­nista della bigamia o poliga­mia al femminile. Paul ed Emi­ly pronunciarono il fatidico «sì». E senza perdere neppure un giorno, visto che la cerimo­nia fu fissata a York proprio al­l’indomani del diciottesimo compleanno di Emily. Tutto a puntino: l’abito della sposa, i confetti, il ricevimento. Ma, lei nella testa aveva già un pia­no perfetto: aspettare che il bravo consorte venisse chia­mato in missione e svignarse­la. Solo per puro divertimen­to, sostengono taluni, o forse per un malessere del compor­tamento mai curato. Comun­que, la chiamata alla missione arrivò e Paul partì con il sacco in spalla. Le scrisse e le riscris­se ma della sposina non si tro­vò più traccia. Emily si era da­ta a gambe e si era cambiata pure nome e cognome.
Piacendole l’idea di posare per certi calendari si autobat­tezzò Amileannya. Va da sé che si sistemò l’acconciatura e curò il corpo con una rassoda­tina, visto che era troppo ma­gra. Un’altra maschera.
In tredici anni, Emily è riu­scita a tagliare la torta nuziale cinque volte, sempre con la stessa tecnica: seduceva, ama­va, piantava in asso, ritoccava i documenti e ripartiva all’at­tacco. I cinque maschietti, un po’ ingenui, hanno condiviso la stessa moglie a insaputa l’uno dell’altro. Naturalmente dei cinque, l’ex soldatino Paul, il primo della catena, può ben rivendicare alle spalle un ma­trimonio in perfetta regola. Gli altri quattro, cornuti e maz­ziati, sposavano una donna con un nome falso e, per giun­ta, non libera da vincoli in quanto non divorziata. Insom­ma, un pasticcio.
Probabilmente sarebbe an­data avanti ancora per un po’. Ma Emily è scoppiata. Nel set­tembre del 2007, Mister Baker, aitante venticinquenne, era con la sua Emily in viaggio di nozze sulle strade della Scozia. E lei, senza apparente motivo, cadde in un pianto a dirotto, confessando infine al consorte che era il quinto della lista. Ashely la mollò al destino: il tribunale. Una Emily che si è tolta ciprie e rossetti, pentita, e malata (forti disturbi del­l’umore) adesso cerca il perdo­no. La prospettiva dei sette an­ni di prigione è terribile. Ma sono in molti a invocare cle­menza. Anche i cinque «mariti» bamboccioni, con il cuore or­mai in pace, preferirebbero chiudere la storia senza ulte­riori clamori.