Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 24 Mercoledì calendario

IL GIAPPONE CI PAGHI 38 MILIARDI $


La Gdf ha rilasciato i due asiatici fermati e ora potrebbe sanzionare il controvalore di 134,5 mld

La multa per i bond sequestrati a Chiasso vale circa una manovra

Si potrebbero risistemare i conti pubblici italiani con una cifra come 38 miliardi di dollari, l’ammenda amministrativa calcolata sui 134, 5 miliardi di dollari, sequestrati a Chiasso lo scorso 3 giugno.

A tanto corrisponde la somma calcolata come penale che il Giappone dovrebbe pagare se fosse accertato l’autenticità dei titoli di stato americani trovati nei doppifondi delle valigie dei due giapponesi fermati alla frontiera tra Italia e Svizzera. Fatto sta, che l’unica cosa finora accertata è che i due fermati sono realmente giapponesi e provenienti uno dalla prefettura di Kanaga nel Giappone centrale e l’altro dalla prefettura di Fukuoka nel Giappone occidentale. Non solo.

Uno dei due fermati Tuneo Yamauchi, secondo fonti riservate sarebbe il cognato dell’ex vice governatore della Banca del Giappone Toshiro Muto. Un dettaglio non da poco nel possibile braccio di ferro tra le autorità italiane, quella giapponese e la Fed. Sì, perché se la Guardia di finanza avesse ritenuto che i titoli erano contraffatti avrebbe dovuto arrestare i due giapponesi che invece sono stati rilasciati senza rilasciare nessun tipo di commento.

Viceversa, il rilascio dei due giapponesi può essere interpretato per la sola mancata dichiarazione valutaria (di titoli veri) che di per sè non è reato penale ma che comporta un’ammenda amministrativa del 40% del valore totale dei titoli. Se esclcudiamo i dieci Kennedy bond da un miliardiodi dollari l’uno, che hanno una data di emissione poco probabile, il 1934, e che potrebbero non essere autentici, e calcoliamo la penale sui rimanenti titoli in tagli da 500 milioni, ecco qua, che si arriva alla somma in questione. Quei 38 miliardi di dollari che lo stato italiano potrebbe incassare visto che l’infrazione è stata commessa sul proprio territorio.

Il portavoce del Tesoro americano Stephen Meynerd ha affermato le scorso 18 giugno «sono dichiaratamente falsi».

Ma in una successiva dichiarazione lo stesso Meynerd, ha affermato di non aver visto le obbligazioni se non da una foto su internet. Sembra un pò difficile vericare l’autenticità da una foto anche per chi è esperto di contraffazione e quantomeno strano appare la situazione a due settimane dal sequestro dei titoli. Nessun esperto del Tesoro americano si è recato di persona in Italia per verificare di persona l’autenticità di titoli di taglio così elevato e per un valore complessivo altrettanto elevato.

Sembra chiaro che la Fed abbia tutto l’interesse a sostenere la Baca del Giappone a rientrare in possesso dei titoli senza pagare l’ammenda prevista dalla legge italiana. Il mercato del Giappone infatti è strategico per il collocamento dei titoli di stato americani e i nipponici sono tra i maggiori possibili acquirenti dei bond made in Usa, nonostante le attuali difficoltà di collocazione da parte del Tesoro americano.

La mancanza di comunicati ufficiali delle autorità coinvolte arricchisce ancora di più di mistero un giallo che già di per sè non ha niente da invidiare ai più grandi successi hollywoodiani.

Intanto il governo giapponese vive momenti di tensione e dopo che lo scorso 12 giugno, il ministro degli Affari Interni del Giappone, Kunio Hatoyama, uno stretto alleato del premier Taro Aso, ha annunciato le proprie dimissioni, assestando così un duro colpo ad Aso prima delle elezioni.

Le motivazioni ufficialmente, riguardano le richieste non accolte del ministro dimissionario, riguardo la nomina di un nuovo capo delle Poste giapponesi al posto di Yoshifumi Nishikawa, ricambio a cui molti nel partito liberaldemocratico si sono opposti, creando così un dilemma per il premier giapponese, che ha risolto Hatoyama con le proprie dimissioni.

Certo è, che la tempistica delle dimissioni e l’incarico strategico dell’ormai ex ministro degli Interni Hatoyama, ben si collocano, allo stesso tempo, nella cornice enigmatica e misteriosa del sequestro dei 134 miliardi di dollari, avvenuto in Italia solo pochi giorni prima del suo abbandono.