Roselina Salemi, La stampa 24/06/2009, 24 giugno 2009
«I MIEI ANNI PIU’ BELLI TRA LE SFURIATE DELLA FALLACI»
5 domande a Daniela Di Pace
«Quando mi hanno chiesto di diventare l’assistente personale di Oriana Fallaci, ero terrorizzata. Le sue sfuriate erano leggendarie, certe segreterie ne erano uscite a pezzetti. Ma non potevo dire di no. Ho pensato: proviamo. E mi sono armata di pazienza». Daniela Di Pace (oggi assistente del direttore generale Rcs) è stata accanto a Oriana Fallaci dal 2005, per quasi due anni, e l’ha accompagnata nell’ultimo tratto della vita. Ha appena pubblicato un libro di memorie («Con Oriana», editore «Le lettere»)
Come vi siete conosciute?
«Ero assistente del direttore generale dei quotidiani Rcs. Lei chiamava e non voleva mai aspettare. Il nostro rapporto è cominciato con un po’ di apprensione da parte mia. Aveva licenziato in maniera molto brusca il suo segretario e sapevo che non avrei avuto vita facile».
Invece?
«All’inizio mi sentivo sotto esame. Capivo che studiava ogni gesto, ogni telefonata. Parlava pochissimo, mi dava indicazioni su quello che dovevo fare. Io sono stata discreta, ed è finita che ci siamo capite».
Era molto esigente?
«Oh, sì, ci voleva pazienza. Dimenticava le cose e non voleva ammetterlo, era dura, le dava fastidio essere disturbata mentre scriveva, guai a interromperla! Le nostre chiacchierate notturne erano faticose, ma io cercavo di starle accanto».
A un certo punto è diventato un rapporto un po’ speciale..
«Sono riuscita a comprendere la sua estrema solitudine. Viveva in mezzo ai libri e, nell’ultimo periodo, quando faceva la chemio a casa, non aveva neanche un medico con cui parlare. Così ho scoperto il suo lato nascosto, il rimpianto per la maternità («Se facevo un figliolo, non facevo L’Oriana, facevo la mamma!»), la sua battaglia contro il cancro (l’«alieno» lo chiamava), il rinvio continuo del testamento. Non le andava di farlo, era come una dichiarazione di resa. Poi una mattina, mi ha telefonato e mi ha detto: "Ho firmato, Daniela, adesso posso anche morire. Quei due, gli avvocati erano vestiti da becchini"».