Alessandro Catapano, Gazzetta dello Sport, 24/6/2009, 24 giugno 2009
DAL 2004 AD OGGI TRE IMPORTANTI TRATTATIVE PER ACQUISIRE LA PROPRIETA’ DEL CLUB GIALLOROSSO
2004 - NAFTA MOSKVA: 250 mln
Ventinove febbraio 2004, Parma, stadio Tardini. La Roma è in corsa per lo scudetto. La trattativa con la Nafta Moskva per la cessione del club alle battute finali. Al Tardini, i tifosi romanisti espongono uno striscione bizzarro: «Vodka no, Lamaro sì». In realtà, il messaggio è chiaro: no ai russi, sì agli imprenditori romani (Lamaro è la società dei Toti).
Contemporaneamente, a Roma, la sede del club viene perquisita dalla Guardia di Finanza, in cerca di documenti che attestino presunte plusvalenze fittizie. I documenti non verranno mai trovati, ma i russi quel giorno scappano. Che andava cercando la Guardia di Finanza? Chi la mandò a curiosare? L’idea che la Roma potesse finire in mani russe l’aveva avuta a ottobre del 2003 Franco Baldini, durante un incontro con Abramovich, neo proprietario del Chelsea. Di fronte al suo corteggiamento (offriva 150 milioni per Totti ed Emerson), Baldini gli propose «ma perché non ti compri la Roma?». A gennaio Baldini incontrò Suleiman Kerimov e Anatoli Kolotilin, proprietari della Nafta Moskva, azienda leader del business petrolifero. Li mandava Abramovich. A febbraio, lì informò che la famiglia Sensi era disposta a trattare. La cifra proposta dai russi oscillava tra 250 e 300 milioni di euro. La Roma era piena di debiti: 219 milioni (della controllante Roma 2000), più i 450 di Italpetroli (154 con Capitalia). La trattativa andò avanti per un mese, i Sensi rilanciarono fino a 400 milioni. La storia finì sui giornali e divenne materia scottante per politici e banchieri. Il sindaco Veltroni si espose («La Roma ai romani»), ma il suo appello cadde nel vuoto. Un ruolo decisivo lo ebbe Capitalia, che aveva in mano il destino di Italpetroli: erano già stati individuati asset da vendere per ripianare il debito. Si narra che sia stato chiamato in causa perfino Berlusconi, perché intervenisse su Putin: i russi erano un pericolo per l’equilibrio del calcio italiano. Il finale è noto: la Roma restò ai Sensi e Capitalia si prese il 49% di Italpetroli.
2008 - SOROS: 283 mln
Nonostante Milano Finanza abbia pubblicato recentemente i documenti ufficiali della trattativa, a Roma qualcuno continua a sostenere che George Soros non sia mai stato interessato alla Roma. E comunque che sia stata la Inner Circle Sports, la merchant bank statunitense che ha condotto la trattativa per conto del magnate ungherese, ad abbandonare il tavolo senza un motivo valido, non quindi dopo aver registrato il rilancio della controparte, basato su una presunta offerta araba da 400 milioni, mai realmente manifestatasi. Un bluff, insomma, come al tavolo da poker. Dietro il quale si nascondeva la vera esigenza della Sensi: ottenere più dei 283 milioni (Opa compresa) della proposta americana per coprire gran parte del debito Italpetroli.
Eppure, i tifosi romanisti ancora oggi, di fronte ai misteri e ai dubbi di Fioranelli, rimpiangono trasparenza e solidità della Inner Circle e di George Soros, e degli studi legali che li rappresentavano (Cleary Gottlieb e Tonucci).
Chi ha voluto screditarli si è «attaccato» alla figura di Joe Tacopina, l’avvocato italoamericano che in realtà nella vicenda Roma sostanzialmente ebbe per primo l’idea, stabilì contatti italiani (anche con l’allora ministro degli Esteri D’Alema), trovò investitori pronti a sottoscriverla e la sottopose alla Inner Circle, lasciando poi che fosse la merchant bank a condurre la trattativa. Che andò avanti per mesi: da novembre 2007, quando Steven Horowitz della Inner Circle stabilì il primo contatto con il legale dei Sensi Gianroberto De Giovanni, al 18 aprile 2008, il giorno del famoso rilancio arabo, arrivato un mese dopo che l’accordo tra le parti era stato raggiunto.
Il 18 aprile resta il giorno dei giorni. Quello che è avvenuto dopo, fino al 21 maggio, sono stati tentativi andati a vuoto: della Roma pressata da UniCredit (intervenuta solo a quel punto) di riaccendere la trattativa e della Inner Circle di convincere Soros a restare nell’affare. Fino al 21 maggio, quando da New York arrivarono le ultime tre parole: «We are out».
2009 - FIORANELLI: 300 mln
Non è stata ancora scritta la parola fine (anche se dovremmo esserci) e ancora non si può dire con certezza come finirà (anche se Fioranelli sembra ormai spacciato). Perciò, verrà il tempo di attribuire delle responsabilità, come è avvenuto per le trattative precedenti, in entrambi i casi, del resto, ci sono voluti mesi o addirittura anni.
Andrà stabilito, innanzitutto, quanti e quali gli errori commessi da Vinicio Fioranelli, se sia stato poco serio o, nella migliore delle ipotesi, se sia stato soltanto ingenuo. Se si sia affidato ai collaboratori giusti, se gli uomini che fin qui lo hanno accompagnato in questa impresa siano davvero degni di questo nome.
E andrà stabilito pure il ruolo delle banche: per chi abbia «tifato» davvero Mediobanca, se stavolta UniCredit si sia mossa davvero in tempo. Intanto, però, un paio di cose possiamo dirle. La prima riguarda la «struttura» messa in piedi da Fioranelli. Povera, incompleta, soprattutto se messa a confronto con la schieramento di Soros. Un anno fa, per conto del magnate ungherese conduceva la trattativa la Inner Circle Sports, una potenza nel marketing sportivo, e curavano gli aspetti legali due studi molto celebri: il londinese Cleary Gottlieb e il romano Tonucci. E in principio, quando l’idea di Tacopina doveva ancora incontrare la Inner Circle, era stato coinvolto un altro importante studio legale, Paul Hastings. Oggi, invece, si sa che della struttura fa parte Vinicio Fioranelli, ma non si sa se soltanto col ruolo di rappresentante o anche di investitore. Comunque, la trattativa la conduce lui. Dietro, il nulla. Chi ci mette i soldi? Mai visto Volker Flick, di cui non si ha traccia nemmeno su internet. Mai visto Massimo Pica, di cui dal 2003 – anno in cui la sua Eldo fallì – non si hanno più notizie.
Sappiamo che per i dettagli tecnici c’è uno studio legale – il prestigioso Irti, ma della vicenda si occupa il figlio Nicola – e un altro legale – l’avvocato De Enrico Santis.
Francamente, troppo poco.