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 2009  giugno 24 Mercoledì calendario

Privacy e divorzi La lettera al Papa di Enrico VIII - Il Vaticano, ufficialmente, sulla tribolata questione berlusconiana tace

Privacy e divorzi La lettera al Papa di Enrico VIII - Il Vaticano, ufficialmente, sulla tribolata questione berlusconiana tace. E, in effetti, c’è poco da dire. Se non che, come ha scritto recentemente Avvenire, ci vorrebbe più moderazione e maggiore chiarezza. Eppure il parere della Chiesa e delle gerarchie vaticane interessa eccome il premier e i suoi: non a caso, proprio in questi giorni difficili, è stato il fido Gianni Letta a esordire sull’Osservatore Romano con un intervento dedicato alla necessità di coniugare «sviluppo» e «imperativi morali». Non un intervento riparatore, quello di Letta, ma comunque un segnale offerto dentro e fuori le sacre mura. La questione comunque resta atavica. Nel senso che, a ben vedere, la necessità dei potenti del mondo di ricevere una benedizione dalla Chiesa quando le cose vanno bene (e soprattutto quando vanno poco bene a motivo d’una condotta morale poco ortodossa) è di lunga data. E una dimostrazione è arrivata ieri proprio dal Vaticano che, cinquecento anni dopo l’incoronazione di Enrico VIII, ha presentato ufficialmente il documento con cui, nel 1530, il sovrano inglese chiedeva il divorzio da Caterina d’Aragona. Una pubblicazione che ricorda una vicenda dolorosa per la Chiesa cattolica: il tutto portò allo scisma anglicano. Una vicenda che, in un certo senso, resta attuale ancora oggi anche se, occorre dirlo, né Gianni Letta è Thomas More - questi, cancelliere del re, si dimise allorquando Enrico VIII sancì la sottomissione del clero al potere temporale - né Berlusconi è Enrico VIII - quest’ultimo, appurato che il Papa Clemente VII non voleva rispondere affermativamente alla richiesta d’annullamento del suo matrimonio con Caterina d’Aragona al fine di impalmare l’amante Anna Bolena, ruppe con Roma e buona notte al secchio. Ieri, è stato l’Archivio segreto vaticano in collaborazione con la società "Scrinium" a mostrare un fac simile delle lettera pergamena - l’originale è gelosamente custodito nello studio di monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio - con la quale il re inglese avanzò la richiesta di divorzio da Caterina d’Aragona. Una lettera riprodotta in 200 esemplari e venduta alla cifra di ben cinquantamila euro. Una lettera, quella di Enrico VIII, facilmente "intercettabile", oggi come allora, viste le dimensioni: redatta su una pergamena larga un metro, alta due volte tanto, pesa due chili e mezzo. Appiccicati sopra, a mo’ d’appendice, pendono più di ottanta sigilli di cera raccolti in piccole teche di latta e sostenuti da un nastro di sera. Sopra i sigilli, ecco ottantatre sottoscrizioni accuratamente ripartite in tredici colonne delimitate da un’unica lunga fettuccia di seta abilmente intrecciata.  vero, Enrico VIII scrivendo al Pontefice mostra la volontà d’una benedizione vaticana. Ma, nello stesso tempo, mostra carattere e determinazione: «Ma se il Pontefice non volesse farlo, trascurando le esigenze degli inglesi - si legge alla fine dello scritto dopo la richiesta avanzata al Papa -, questi si sentirebbero autorizzati a risolvere da se stessi la questione e cercherebbero rimedi altrove. La causa del re è la loro causa. Se (il Pontefice) non interverrà o tarderà ad agire, la loro condizione diverrà più grave ma non irrisolvibile: i rimedi estremi sono sempre i più sgradevoli, ma l’ammalato tiene soprattutto alla propria guarigione...». Parole, quelle della pergamena, che mostrano come dalle alle autorità religiose sia possibile (eccome) smarcarsi, seppure lo smarcamento non sia mai senza conseguenze. Ne sanno qualcosa gli oltre ottanta firmatari della lettera: questi, nei mesi successivi la firma, sarebbero stati messi davanti all’assunzione di una posizione definita anche a costo della vita. E, infatti, coloro che fecero un passo indietro, coloro che successivamente alla firma del documento ebbero un ripensamento, subirono pesanti conseguenze. Due di loro furono giustiziati nel 1537. Un marchese e un barone dopo furono condannati a morte come cospiratori e anche due abati intimamente contrari alle profonde innovazioni religiose attuate nel regno subirono la stessa sorte a causa del loro «animo intimamente corrotto». Una tragica fine ebbe in sorte anche il fratello di Anna Bolena, Lord Rochefort che, accusato di relazioni incestuose con la regina, venne giustiziato con lei nel 1536.