Alessandro Campi, il Riformsta 24/6/2009, 24 giugno 2009
Meglio lui del vuoto e non c’è per ora un sostituto pronto - Giampaolo Pansa e Francesco Cossiga sono due uomini che l’esperienza ha reso saggi e liberi
Meglio lui del vuoto e non c’è per ora un sostituto pronto - Giampaolo Pansa e Francesco Cossiga sono due uomini che l’esperienza ha reso saggi e liberi. Se entrambi hanno consigliato a Silvio Berlusconi di dimettersi vanno dunque presi sul serio. Resta però da capire - ed è il problema che vorrei sollevare - cosa seguirebbe all’eventuale decisione dell’attuale presidente del Consiglio di rimettere il suo mandato. Un governo istituzionale o tecnico guidato da un’alta personalità? Elezioni anticipate? La mia impressione è che gli scenari immaginati in questi giorni da chi considera come imminente una "scossa" non tengano conto delle complicate dinamiche che si aprirebbero nel caso in cui Silvio Berlusconi finisse travolto da accuse infamanti e ignominiose. La mia impressione, per dirla tutta, è che si stia scherzando con il fuoco. Il perché è presto detto. Berlusconi non è un notabile democristiano qualunque o un segretario di partito tra gli altri, che possa essere sostituito dall’oggi al domani come se niente fosse. Per come la sua vicenda politica si è sviluppata nell’arco di quindici anni, è un sistema di potere, un sogno, un pezzo del nostro immaginario collettivo, un simbolo nel bene e nel male, uno stile di vita, una rete assai articolata di relazioni e alleanze. Insomma, tutto fuorché un politico normale, fungibile nell’arco di ventiquattro ore da questo o da quello. La sua rovina traumatica sarebbe la conclusione di un ciclo storico e di un’avventura politica senza precedenti, che nessuno può pensare di governare con strumenti costituzionali ordinari. Cadendo dall’oggi al domani, travolto per di più dal peso di accuse assai gravi, a conclusione di una campagna di stampa martellante e dai molti contorni ambigui, lascerebbe dietro di sé - a destra e a sinistra; sì, anche a sinistra - un campo di rovine e un vuoto di potere enorme. La transizione morbida che alcuni immaginano sarebbe, data l’anarchia generata da un suo tonfo repentino e scioccante, semplicemente impossibile. Altro che governo degli ottimati! Altro che tornare anzitempo al voto! Trionferebbe il caos. E come la storia insegna - anche quella italiana recente - si creerebbe lo spazio per le più temerarie avventure politiche: verrebbe l’ora degli uomini senza scrupoli e disposti a tutto, dei corsari e dei predatori dell’ultima ora. La confusione e lo smarrimento - stante anche la crisi economica che grava sul Paese e considerata la delicata congiuntura internazionale - sarebbero generalizzati. E con un’opinione pubblica allo sbando e un sistema politico a pezzi, con l’Italia presentata agli occhi del mondo come un lupanare, come una nazione senza più alcuna credibilità, nessuno può davvero prevedere ciò che realmente accadrebbe. Comincerebbe con ogni probabilità una sanguinosa (politicamente parlando) guerra per bande, che rischierebbe di travolgere tutti, anche coloro che oggi pensano - per ingenuità, per eccesso di ambizione o semplicemente perché accecati dall’odio - di avere qualcosa da guadagnare dalla rovina politica del Cavaliere. Tutti hanno letto, quell’ormai lontano 29 aprile, lo sfogo che Veronica Lario, la consorte offesa di Berlusconi, affidò al quotidiano Repubblica. Ma pochi ricordano un passaggio che, meditato oggi, ha quasi il sapore di una illuminante profezia politica. «Mio marito - diceva testualmente la Lario - insegue lo spirito di Napoleone, non quello del dittatore. Il vero pericolo è che in questo Paese la dittatura arrivi dopo di lui, se muore la politica come temo stia succedendo». La minaccia per la democrazia italiana, insomma, non è l’esuberanza sessuale di Berlusconi, ma la furia moralizzatrice e giacobina, l’incontenibile fame di potere ammantata di senso della giustizia, che rischiano di prenderne il posto. Pur con tutti i suoi limiti, le umane debolezze e una personalità istintiva e debordante, Berlusconi è stato e rimane un grande leader democratico, che il consenso non lo ha comprato con i miliardi, ma conquistato mettendoci la faccia e le idee, incarnando agli occhi di milioni di italiani una grande voglia di cambiamento e il desiderio di un’Italia meno socialmente ingessata. Il suo bilancio, dopo tre lustri, potrà anche apparire deludente, ma nessuno può contestare che egli abbia sempre vinto (e perso) per ragioni schiettamente politiche: per ciò che ha pubblicamente detto e promesso agli elettori, per ciò che ha realizzato quando è stato al governo, per il mondo con cui ha dato voce e pubblica rappresentanza a una vasta maggioranza di connazionali. Chi oggi immagina di metterlo definitivamente alle corde facendo leva sullo sdegno e sulla riprovazione, giocando l’estrema carta della sua delegittimazione su scala universale, commette dunque un errore di valutazione assai grave: punta ad uccidere simbolicamente l’avversario che non gli è riuscito di piegare alle urne in tutti questi anni. Ma soprattutto non tiene conto dei guasti incalcolabili per l’Italia che un’eventuale caduta di Berlusconi, in questo clima da caccia alle streghe, con queste modalità persecutorie e degradanti, inevitabilmente produrrebbe. Gli apprendisti stregoni - coloro che secondo voci ricorrenti si appresterebbero all’affondo finale in vista del G8 - sono avvisati. Su di loro incombe una grave responsabilità.